Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    I tuoi commenti sono sempre spassosissimi! *-* Per questo ti è stato accreditato un ulteriore punto reputazione. U.U
    Credo comunque che, in base a quello che hai scritto, questo finale di capitolo possa piacerti. :P
    Per quanto riguarda Melvin, in ogni caso, ricomparirà altre volte e chissà, magari farà davvero una brutta fine. u.u Ma non aggiungo altro. :D




    «Finiscila di lamentarti!» sbottò Natascha. «Aveva ragione Aaron: non avrei dovuto portarti qui.»
    Kelly la fulminò con lo sguardo.
    «Ah, hai parlato con Aaron della possibilità di invitarmi? Buono a sapersi. È sempre bello scoprire che qualcuno ti ritiene talmente tanto importante da dover fare congetture con tutti sulle possibili conseguenze di invitarti a una festa! Perché non suggerisci ad Aaron di andare a farselo mettere in culo?»
    «Vedo che sei sempre molto raffinata, Kelly» osservò qualcuno alle sue spalle.
    Kelly si girò all’istante.
    Davanti ai suoi occhi comparve Ralph Craven, che teneva in mano un bicchiere pieno di qualche liquido dal colore indefinito.
    «Cosa ci fai qui?»
    «Cosa ci fai tu, piuttosto?» replicò Ralph. «La tua presenza non è gradita.» Si rivolse a Natascha: «Non l’hai ancora capito che con certa gente è meglio non avere a che fare?»
    «Chi frequento non sono affari tuoi» obiettò la ragazza, prima di allontanarsi, con aria palesemente infastidita.
    «Ecco, hai visto? Hai fatto scappare Natascha» ribatté Kelly. «Devi esserti impegnato parecchio per esserci riuscito. Di solito più cazzate dici e più è soddisfatta.»
    «Questo spiega perché stia sempre al tuo seguito: tu sei la reginetta delle stronzate. Ci scommetto che a lei hai anche raccontato quello che hai provato quando hai ucciso mio fratello!»
    Kelly valutò l’eventualità di prenderlo a schiaffi. No, era una pessima idea: avrebbe interpretato la parte della ragazza isterica e psichicamente instabile, proprio l’impressione che Ralph avrebbe voluto che finisse per dare.
    «Io non ho ucciso nessuno» precisò invece. «Non ero in macchina con lui e con Ronnie, non è a me che devi chiedere cosa successe davvero.»
    Ralph le sembrò incuriosito.
    «Mi stai dicendo che dovrei fare la stessa domanda a Ronnie?»
    Kelly si ritrovò ad annuire.
    «Sì, è chiaro. Sa molto di più di quanto non voglia far credere.»
    Si chiese se quelle parole avrebbero fatto incrementare il suo già enorme senso di colpa. Scaricare tutte le responsabilità su Ronnie, per quanto avesse preso a detestare quello che c’era stato tra di loro prima della morte di Rick, non era sicuramente molto etico.
    Si ritrovò ad essere guardata da Ralph con occhi diversi.
    «Tu lo amavi, non è vero?»
    «Chi, Ronnie?»
    Ralph le parve colpito.
    «Tu amavi Ronnie?»
    Se solo le avesse posto quella domanda cinque minuti prima, Kelly sarebbe probabilmente inorridita. Adesso vedeva la situazione sotto una luce molto diversa: aveva tra le mani una possibile soluzione per non dover più affrontare le continue insinuazioni di Ralph.
    «Sì, lo amavo. Non mi vanto di avere tradito Rick, ma mi sono ritrovata in una situazione che non avevo previsto.» Era davvero così brava a mentire? Non l’avrebbe mai sospettato. «Mi sono accorta che quella tra me e Rick non era stata altro che una storiella tra adolescenti e che la soluzione migliore era chiudere.»
    «Tu volevi lasciarlo, quindi? E volevi farlo per uno come Ronnie
    Ralph era sorpreso, ma non sembrava condannarla.
    «Credevo che ne valesse la pena, allora» mentì. «Stavo cercando di trovare un modo indolore per dire a Rick che non ne volevo più sapere. Me ne sono andata dal locale molto prima di lui. Ho trascorso la notte a maledire me stessa per essermi innamorata del fratello del mio ragazzo. Non avrei mai potuto immaginare che Rick fosse morto quella notte stessa. È stato terribile, per me, scoprirlo.»
    «Anche se non lo amavi più?»
    «Non era l’uomo della mia vita, ma gli volevo bene. Se non gli ho detto come stavano le cose è stato solo perché volevo trovare un modo per non ferirlo.»
    Ralph abbassò lo sguardo.
    «L’unico modo per non ferirlo era stare il più lontana possibile da Ronnie.»
    «Già. Peccato che all’epoca non me ne rendessi conto. Ora che è lontano chilometri e chilometri da qui, mi sento finalmente libera.»
    Quest’ultima, almeno, non era una menzogna spudorata: seppure non fosse esattamente così, era quello che avrebbe voluto, anche se dentro di sé sapeva che non avrebbe mai potuto scordarsi di quello che lei e Ronnie avevano fatto.
    “Chissà dov’è ora; chissà cosa sta facendo...”

    «Ehi, Ronnie, è da almeno venti minuti che ti limiti a guardare giù senza dire una parola» osservò Yuma. «Devo iniziare a sospettare di avere qualcosa che non va?»
    Gli occhi del ragazzo si spostarono su di lei.
    «Tu?»
    «Io.»
    Ronnie scosse la testa.
    «Perché dovresti?»
    «Pensavo di essere io a farti questo effetto» ammise Yuma. «Mi è venuto il dubbio di metterti a disagio.»
    Si sentì rasserenata nel momento in cui Ronnie sorrise.
    «Mettermi a disagio? Tu? Figurati.»
    «Sei uno dei pochi a cui non succede, allora» ipotizzò Yuma, posando lo sguardo sul tavolino accanto al quale era seduta. «Di solito tutti scappano, quando mi avvicino.»
    «La maggior parte delle persone non sono poi così tanto intelligenti.»
    A Yuma sfuggì una risata.
    «Mi stai suggerendo che tu, invece, lo sei?»
    «Non spetta a me giudicarlo» ribatté Ronnie, «Anche se considerando tutte le cazzate che ho fatto finora qualche sospetto di appartenere alla maggioranza ce l’ho.»
    «Cosa dovrei dire io, allora?» replicò Yuma. «È dal giorno in cui mia madre è stata sepolta nel cimitero di Starlit Spring che non faccio niente di sensato.»
    «Portare via tua sorella lo è stato» la smentì lui, «Così come lo è stato trasferirsi qui.»
    «Forse.»
    «Se stai insinuando che non lo sia stato, non te lo permetto. Tua sorella non merita di crescere accanto a un maniaco!»
    «Non lo metto in dubbio.»
    «E allora qual è il problema? Arrivata a questo punto non dovresti più avere dubbi.»
    Yuma sospirò.
    «Non è su Heaven che ho dei dubbi.»
    «Su chi allora? Su te stessa? Vorresti davvero essere ancora a casa con quel bastardo?»
    Yuma scosse la testa.
    «No, ma non è così semplice. Vedi, credevo che tra me e Michel...» Si alzò in piedi. «Credevo che la situazione sarebbe stata diversa. Lui pende dalle labbra del suo capo, non mi mette al corrente di ciò di cui si occupa e...» S’interruppe, prima di rientrare nell’appartamento, con la speranza che Ronnie restasse fuori. «Lascia perdere, non vale la pena di parlarne.»
    Non appena udì il rumore la sedia che strisciava a terra Yuma si rese conto che Ronnie l’avrebbe seguita. Per lei il discorso era chiuso, ma a quanto pareva lui non era d’accordo.
    «Sì, invece, dovresti parlarne» puntualizzò Ronnie, infatti.
    Yuma si girò a guardarlo.
    «Dovresti parlarne» ribadì Ronnie, «Ma non con me. È tra te e Michel che ci sono dei problemi, questo discorso dovresti farlo a lui.»
    «Lo so» ammise Yuma, «Ma... vedi, in realtà non ci sono dei veri e propri problemi.» Le sembrava, all’improvviso, di avere presentato a Ronnie una situazione peggiore di quanto non fosse in realtà. «Vedi, io sto benissimo con lui, solo che a volte mi faccio delle paranoie inutili.»
    Le venne istintivo abbassare lo sguardo.
    Ronnie si avvicinò.
    «Le tue presunte paranoie non sono mai inutili.»
    «Sì, invece. Sono sicuro che se tu avessi una ragazza come me non riusciresti nemmeno a sopportarla.»
    «Se avessi una ragazza come te, non me ne andrei in giro a qualunque ora del giorno e della notte per lavoro; o almeno, se non potessi evitarlo, le spiegherei meglio di che cosa mi sto occupando, in modo che non mi scambi per uno che ha qualcosa da nascondere.»
    «Ma tu non avresti questo problema» gli ricordò Yuma, facendo un passo in avanti e sentendosi pericolosamente vicina a lui. «I contabili noiosi e prevedibili non hanno scheletri nell’armadio e non hanno datori di lavoro quantomeno ambigui.»
    «Ne sei proprio sicura?» ribatté Ronnie. «Magari potrei avere falsificato qualche bilancio. Non ti spaventerebbe come prospettiva?»
    «Ci sono cose che mi spaventerebbero molto di più» sussurrò Yuma. «Una di queste sarebbe la prospettiva di non averti mai conosciuto.»
    «Non ho fatto poi così tanto per te, non...»
    Yuma non gli permise di finire la frase. La sua bocca sfiorò quella di Ronnie e finalmente sentì, dentro di sé, di avere fatto la cosa giusta. La lingua di Ronnie s’infilò tra le sue labbra e Yuma sperò che quell’istante durasse per sempre.
    In realtà finì tutto molto in fretta. Ronnie si ritrasse all’improvviso.
    «Scusami.»
    Yuma lo guardò senza capire.
    «Perché dovresti chiedermi scusa?»
    Era stata lei a prendere l’iniziativa, non aveva alcun senso.
    «Perché è stato un errore che non avrei dovuto commettere.»
    «Nella vita si fanno tanti errori, uno in più cosa cambia?»
    «Cambia che non dovevo fare questo errore. Non accadrà più.»
    Yuma annuì.
    «Certo, non accadrà più, ma a una condizione.»
    «Quale?»
    «Quello che è successo non deve cambiare il rapporto che è venuto a crearsi tra noi.»
    «Non succederà» la rassicurò Ronnie. «Io e te saremo amici per tutta la vita, di questo ne sono totalmente sicuro.»
    «Anch’io sono sicura che sarà così» convenne Yuma. «Non ho mai avuto alcun dubbio in proposito.»
    Si sorprese quando lo vide sorridere.
    «Beh, allora dovresti esserne felice: c’è qualcosa su cui di dubbi non ne hai.»
     
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