Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Ecco in arrivo la prima parte del capitolo 26!



    Capitolo 26.
    «Ti sbagli» affermò Michel, senza perdere la calma. «Io e te non abbiamo niente da dirci.»
    «So che mia figlia vive qui» replicò Melvin, richiudendo la porta alle proprie spalle. «Devo vederla, e devo vederla subito.»
    «Tua figlia è grande abbastanza per decidere se vuole vederti o no... e non mi sembra che abbia intenzione di farlo.»
    «Cosa vuoi saperne tu delle intenzioni di Yuma? Sei solo un ragazzino che crede di potere avere tutto ciò che desidera... ma la realtà è diversa, Michael.»
    «Michel.»
    «Un nome vale l’altro, specie se si tratta di una nullità come te. Yuma sta solo sprecando tempo e un giorno lo capirà.»
    «Anche tu stai sprecando tempo» puntualizzò Michel. «Yuma non è in casa, in questo momento, e non sarebbe sicuramente felice di trovarti ad aspettarla.»
    Melvin gli lanciò un’occhiata di fuoco.
    «Credi che me ne importi qualcosa? La sua felicità apparente è irrilevante. Solo io so cosa serve per fare contenta mia figlia.»
    «Dal momento che non vuole più vederti, ne dubito.»
    «Un giorno sarai tu quello con cui non vorrà più avere niente a che fare. Yuma è sprecata insieme a te.»
    «Le tue teorie non m’interessano» si spazientì Michel. «Nessuno ti ha invitato, quindi fammi il piacere di andartene, sarà meglio per te.»
    «Se no cosa fai, mi denunci per violazione di domicilio? Ti ricordo che sei stato tu a farmi entrare in casa.»
    Michel evitò di precisare che non era andata proprio così.
    «Vattene e basta. Magari dirò a Yuma che sei passato.»
    «Forse allora non hai capito» insisté Melvin, avanzando verso di lui. «Io sono qui per vederla, e la vedrò. Dimmi quando torna.»
    «Non sono affari tuoi» ribadì Michel. «Yuma è grande abbastanza per decidere se vuole incontrarti o no.»
    «E di sua sorella cosa mi dici?»
    «Di... sua sorella?»
    «Yuma mi ha portato via Heaven.»
    «Questi non sono affari miei. La bambina, per quanto ne so, vive insieme a una zia materna.»
    «E la colpa è tutta di Yuma» concluse Melvin. «Da quando ha conosciuto te, quella ragazza s’è messa in testa di distruggermi, senza che io le abbia mai fatto nulla di male...»
    «Se fossi in te mi farei un esame di coscienza» gli suggerì Michel. «Non so come stiano le cose tra te e Yuma, ma se non vuole vederti...»
    «Tu non sei nessuno per giudicare» lo interruppe Melvin.
    Scattò verso di lui, lo afferrò per il collo e lo sbatté contro la parete.
    «Dov’è? Io devo vederla, devo parlarle! Io ho bisogno di lei!»
    Per un attimo Michel si chiese se quell’uomo fosse pazzo. Era forse questa la ragione per cui Yuma se n’era andata?
    «Ho già perso una volta la persona più importante della mia vita, non posso permettere che succeda di nuovo» riprese Melvin, indietreggiando. «Yuma è fondamentale per me.»
    A Michel bastò un attimo per realizzare che la sua ipotesi non poteva essere errata.
    “No, non può essere.”
    Yuma non avrebbe mai abbandonato un uomo malato, se questo sosteneva di volerle bene ed era in grado di dimostrarglielo. Se avesse avuto a che fare con un folle, probabilmente avrebbe fatto il possibile affinché venisse curato.
    Prima che Michel potesse replicare, udì il rumore di una chiave che veniva infilata nella toppa. La porta si aprì ed entrò Ronnie.
    Melvin si girò di scatto, fissandolo con fermezza.
    Ronnie lanciò a Michel un’occhiata interrogativa, come a chiedergli chi fosse lo sconosciuto che aveva davanti.
    «Lui è Melvin, il padre di Yuma» gli comunicò.
    Vide Ronnie irrigidirsi.
    «Se ne stava andando» aggiunse Michel. «Gli ho già detto che sua figlia non è qui e che, se lo vorrà, sarà lei stessa a contattarlo.»

    «Non riesco ancora a crederci» commentò Yuma, tre sere più tardi, accendendosi una sigaretta mentre erano seduti accanto al tavolino che avevano sul balcone. Era la prima volta in cui lei e Ronnie si ritrovavano da soli, dal momento che Michel era uscito per quello che il suo capo aveva definito un improrogabile appuntamento di lavoro. «Se non s’è ancora arreso, non riuscirò mai ad avere un po’ di pace. Come s’è permesso di venire a cercarmi qui?»
    Ronnie si accese una sigaretta a sua volta, tenendo lo sguardo fisso a terra.
    «Continuo a chiedermi perché tu insista a non voler raccontare a Michel come stiano veramente le cose tra di voi» le confessò. «Hai mai pensato che potrebbe aiutarti?»
    «E tu hai mai pensato che la sua reazione potrebbe essere imprevedibile?»
    Ronnie alzò gli occhi al cielo.
    «Davvero, Yuma, non so come puoi pensare che sia colpa tua...»
    «È un discorso che abbiamo già fatto e che non voglio più fare. Ti prego, dimentica tutto quello che sai.»
    «Come se fosse facile.» Ronnie aspirò una boccata di fumo. «Ritrovarmelo davanti era l’ultimo dei miei desideri. Non sai quanto avrei voluto... mhm... dirgli che cosa penso di lui.» Era chiaramente una versione molto più soft di quello che avrebbe desiderato fare a Melvin Emerson se se lo fosse ritrovato davanti. «Meno male che se n’è andato senza fare storie.»
    Yuma sospirò.
    «Non potremmo parlare d’altro?»
    «Abbiamo altro di cui parlare?»
    Ronnie si pentì subito di avere pronunciato quelle parole. Yuma avrebbe potuto pensare che non avesse alcun desiderio di fare conversazione con lei su altri argomenti.
    La ragazza, però, parve non farci caso.
    «Non so come convincere Michel a mandare a quel paese Tom Harvey» gli confidò. «Mi stavo chiedendo, non è che potresti aiutarmi?»
    «Aiutarti?»
    «Sei il suo unico amico. Se gliene parli tu, esiste qualche speranza che ti dia ascolto.»
    Ronnie ridacchiò.
    «Tu sottovaluti Michel.»
    «È lui che sottovaluta se stesso, piuttosto» obiettò Yuma. «Harvey lo tratta come uno zerbino... e poi c’è qualcosa di poco chiaro in quello che fanno.»
    «Non c’è niente di poco chiaro» la rassicurò Ronnie, anche se non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. «Michel è una persona affidabile.»
    «Di Michel mi fido» obiettò Yuma, «Ma non di Harvey. Quale datore di lavoro serio darebbe un normale appuntamento di lavoro alle dieci e mezza del sabato sera?»
    «Un datore di lavoro serio ed eccentrico, suppongo.»
    «Se solo Michel avesse la volontà di tirarsene fuori...»
    «Non essere così pessimista» ribatté Ronnie. «A lungo andare il suo lavoro potrebbe sembrarti... mhm... originale. Al mondo non ci sono soltanto noiosi contabili come me, e tutto sommato è un bene.»
    Yuma sorrise.
    «A volte mi chiedo se non sarebbe meglio avere un ragazzo come te.»
    “Magari.”
    Ronnie si pentì immediatamente di quel pensiero che non era riuscito a controllare. Doveva togliersi dalla testa Yuma, proprio come in passato avrebbe dovuto togliersi dalla testa Kelly.
    Kelly.
    Kelly.
    Kelly.
    Kelly.
    Kelly.

    Bastava una semplice allusione, un riflesso mentale involontario, per piombare di nuovo nell’incubo che non poteva dimenticare. Si ritrovò immancabilmente a domandarsi dove fosse Kelly in quel momento, che cosa stesse facendo e se le capitasse mai di pensare a lui – sperava di no, ma non ne era così convinto.
     
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