Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    @Gab: scusa per la mia risposta frettolosa. :D In effetti c'erano anche altre osservazioni che hai fatto. u.u
    Diciamo che tra un paio di capitoli Yuma dovrebbe iniziare a sospettare qualcosa. XD Ma non anticipo nient'altro. U.U
    Intanto ti propongo (o meglio, a te e anche ad altri eventuali lettori - Pavone e potenziali altri) la prima parte del capitolo 25, dove conoscerai/conoscerete in modo più approfondito Patricia, la collega di Ronnie che aveva già fatto una comparsa all'inizio e che veniva nominata di tanto in tanto. L'idea di darle maggiore spazio è stata recente, e anche se non anticipo nulla avrà abbastanza rilievo in seguito...




    Capitolo 25.
    «E così» riassunse Patricia, seduta da oltre cinque minuti sul bordo della sua scrivania, «è da dieci giorni che la ragazza del tuo coinquilino abita insieme a voi.»
    «Esatto» confermò Ronnie.
    Sapeva di potersi fidare di Patricia, per questo si era confidato con lei a proposito di ciò che non riusciva più a ignorare.
    «Hai mai pensato di cambiare sistemazione?» gli domandò Patricia, a quel punto. «Sarebbe la soluzione migliore.»
    «Dovrei inventarmi qualcosa con Yuma e Michel, però... In particolare con Yuma: capirebbe che c’è qualcosa che non va.»
    «Non c’è niente che non va» replicò Patricia. «L’amore non corrisposto fa parte della vita.» Abbassò lo sguardo. «Forse è inutile che io te lo racconti, ma ci ho messo davvero tanto tempo a comprendere che dovevo fare una rinuncia che mi costava troppo.»
    «Mi dispiace.» Ronnie si pentì subito di come le sue parole sembrassero pronunciate con la più totale indifferenza. «Spero che tu possa riuscire a trovare il vero amore, un giorno.»
    Patricia annuì.
    «Sono sicura che succederà, quello che conta è non perdere le speranze.»
    «Te lo auguro davvero.»
    «E io auguro a te di riuscire a risolvere la tua situazione. Non deve essere piacevole abitare sotto lo stesso tetto della ragazza che ami ma non puoi avere.»
    Sentirlo dire da Patricia lo fece irrigidire. Era come se, pronunciate da qualcun altro, quelle parole divenissero più reali.
    «Per certi versi lo è, per altri è dannatamente soffocante.»
    La segretaria del titolare lo guardò a lungo, prima di domandargli: «Lei lo sa?»
    «Sa... che cosa?»
    «Quello che provi per lei.»
    Ronnie scosse la testa.
    «Non ne ha nemmeno la più pallida idea, ed è molto meglio così. Ha già avuto una vita tormentata, è meglio che ora possa avere un po’ di serenità. Se lo merita.»
    Vita tormentata.
    Non poteva scegliere una definizione meno teatrale? Avrebbe desiderato più di ogni altra cosa poter tornare indietro per scegliere altre parole. Patricia, però, non sembrava averci fatto caso, forse perché non aveva idea di quanto fosse agghiacciante il passato di Yuma.
    Nemmeno Michel era venuto a conoscenza della verità completa; ancora una volta Yuma aveva preferito evitare di raccontargli tutto quello che c’era da dire e si era limitata a confessargli che per poco tempo, dopo la morte di sua madre aveva notato un comportamento ambiguo da parte di suo padre, e che esisteva la vaga eventualità che sua sorella potesse ritrovarsi ad affrontare la stessa sorte e che, preventivamente, aveva pensato che fosse più opportuno affidarla a sua zia, con la quale in passato si era confidata a proposito delle lievi e poco significative molestie subite. Sui problemi esistenti nel presente tra lei e suo padre era stata molto vaga, aveva semplicemente asserito che non erano in buoni rapporti e che non tollerava più intrusioni nella sua vita privata. Dal momento che era stato proprio suo padre a impedirle di frequentare Michel alla luce del sole, la sua versione dei fatti era sembrata verosimile fin dal primo momento.
    Ronnie aveva cercato di convincere Yuma che riferire a Michel come stesse veramente la situazione era un’alternativa di gran lunga preferibile, ma quando la ragazza si era rifiutata per l’ennesima volta di dargli ascolto aveva scelto di evitare di essere troppo insistente. In fondo era libera di affrontare la sua nuova vita come riteneva più opportuno. Finché il suo passato non creava problemi tra lei e Michel, avrebbe potuto addirittura rivelarsi una decisione non troppo negativa.
    «Anche tu hai avuto una vita tormentata» mormorò Patricia, facendolo sussultare. «Lo leggo nei tuoi occhi.»
    «Quindi sei convinta che gli occhi siano lo specchio dell’anima» si sforzò di rispondere Ronnie. Era un’osservazione neutra, proprio ciò di cui aveva bisogno. «Potresti sbagliarti.»
    «Io non sbaglio mai su certe cose» precisò Patricia. «Vedi, Ronnie, ho avuto fin dall’inizio l’impressione che tu volessi sfuggire a qualcosa o a qualcuno. Il fatto che tu non sia più in buoni rapporti con la tua famiglia, mi fa riflettere.»
    «Non essere in buoni rapporti con la famiglia non mi sembra un indicatore significativo» obiettò Ronnie. «Potrebbero esserci mille motivi.»
    Patricia annuì.
    «Su questo hai ragione, ma non riesco a togliermi certe idee dalla testa. Tra l’altro tu mi sei sempre sembrato profondamente infelice, e questo significa molte cose.»
    Profondamente infelice.
    Forse Patricia aveva ragione, era quello l’effetto che poteva fare.
    «Da quando sei tornato a Black Hill, però» riprese Patricia, «Ti vedo un po’ cambiato. È come se a Starlit Spring fosse successo qualcosa che ha cambiato il tuo modo di guardare il mondo che hai intorno.»
    Aveva incontrato di nuovo Kelly. Si era ritrovato di fronte a lei soltanto per qualche minuto, ma in quel breve arco di tempo si era accorto che anche lei combatteva ogni giorno contro gli stessi sensi di colpa. In passato aveva cercato di scaricare tutte le responsabilità su di lui, ma si era trattato di un meccanismo di autodifesa.
    «Può darsi che sia così» ammise Ronnie. «Devo ammettere che, in certi momenti, mi sento un po’ più sereno.»
    «Ne sono felice» concluse Patricia, scattando in piedi e atterrando senza indecisione sui tacchi a spillo. «Te lo meriti. Tu meriti il meglio.»
    Ronnie notò che il tono di voce della collega non era forzato come il suo.
    Cercò di essere altrettanto convincente quando rispose: «Anche tu meriti il meglio.»
    Si stava chiedendo se avesse superato la prova o se Patricia avrebbe trascorso il resto della giornata a domandarsi se fosse sincero o meno, quando lei lo stupì.
    «Lo so, merito il meglio» ribatté infatti, strizzandogli l’occhio. «Lo merito e lo avrò.»
    A quel punto gli voltò le spalle e se ne andò. Se solo non avesse avuto quattordici anni più di lui, l’avrebbe invitata a cena.
    “Chissà, magari un giorno lo farò lo stesso.”

    Yuma si avviò verso la porta.
    «Ehi, sto uscendo!»
    Michel comparve, proveniente dalla cucina. Teneva in mano un bicchiere colmo d’acqua.
    «Ci vediamo dopo, allora.»
    Yuma non riuscì a nascondere il proprio stupore.
    «Ti trovo a casa, quindi?»
    In genere, quando rincasava dal lavoro, Michel era sempre fuori per imprecisati motivi relativi alla sua occupazione. La loro convivenza non aveva cambiato niente in tal senso e continuava ad essere molto riservato sulla propria professione. Da parte sua Yuma non gli faceva domande e, finché non fosse sorto alcun genere di problema, non aveva intenzione di porgliene.
    «Se Harvey non mi chiama per qualcosa di urgente ci sarò di sicuro» la rassicurò Michel, con uno dei suoi classici sorrisi da bravo ragazzo. «Buon lavoro, Yuma.»
    Sorrise a sua volta.
    «Grazie.»
    Aprì la porta e si avviò giù dalle scale. Era leggermente in ritardo, perciò scese i gradini quasi di corsa.
    Prese la bicicletta, che teneva in garage, e si avviò lungo la strada.
    Con la coda dell’occhio le parve di notare qualcosa, o forse qualcuno, ma non vi diede importanza. Non c’era niente di anomalo, avrebbe dovuto smetterla di lasciarsi prendere dalle proprie fantasie. Da quando se n’era andata di casa nessuno l’aveva cercata - e Naive le aveva assicurato che nessuno aveva tentato di avvicinarsi a Heaven - e questo confermava la sua teoria: quelle di suo padre erano state minacce prive di fondamento, al solo scopo di convincerla di poter esercitare qualche forma di potere su di lei.
    Doveva smetterla di sentirsi braccata e di sospettare di qualunque innocente passante, e soprattutto doveva sbrigarsi, altrimenti avrebbe fatto tardi al lavoro, dove sarebbe stata costretta a sorbirsi l’ennesima interminabile predica.
     
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