Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Parte conclusiva del capitolo 20.



    Quando le aveva comunicato la sua intenzione di andarsene Naive non l’aveva presa molto bene, ma Yuma non aveva desistito dal proposito che si era prefissata. Aveva trascorso mezza giornata insieme a Heaven, poi era salita su un pullman diretto a Starlit Spring.
    «È assurdo tornare in quella città» aveva provato a opporsi Naive. «Non c’è niente che tu possa fare!»
    «Ho sempre voluto delle risposte» aveva obiettato Yuma, «E non sono mai riuscita a trovarne. Mi sono resa conto, però, che non le ho mai cercate abbastanza.»
    «Sono tutte illusioni» aveva replicato Naive, aggrappandosi all’unico appiglio possibile per trattenerla. «Tornare a Starlit Spring non ti servirà a scoprire che cos’è successo veramente a Margot.»
    Lo sapeva.
    Dentro di sé, Yuma lo sapeva perfettamente.
    Aveva comunque trovato la forza di precisare a Naive che nemmeno rimanendo a casa sua avrebbe mai potuto trovare ciò che stava cercando.
    «Ma Heaven...»
    Yuma si era accorta, da quelle parole, che Naive era davvero arrivata all’ultima spiaggia, se sperava di poterla convincere a restare con un’argomentazione del genere.
    «Heaven non se l’è forse cavata benissimo anche senza di me, in tutti questi mesi?» le aveva chiesto, quindi.
    «Beh, sì...»
    «Allora non ci sono problemi.»
    «In questi mesi, però, siamo sempre rimaste in contatto.»
    «Erano contatti controllati da mio padre» le aveva ricordato Yuma. «A Starlit Spring nessuno mi impedirà di chiamarvi ogni volta in cui lo vorrò.»
    «Lo spero.»
    Yuma si era ritrovata a sorridere.
    «Che cosa ti fa pensare che qualcuno possa impedirmelo?»
    Naive aveva scosso la testa.
    «Non è a questo che mi riferisco.»
    «A che cosa, allora?»
    «Spero che tu avrai voglia di chiamarci.»
    Yuma cercò di giustificarsi, convincendosi che prima o poi si sarebbe messa in contatto con Naive e con sua sorella.
    “Non oggi, però” pensò, fissando il telefono. Spostò poi lo sguardo sull’orologio. “Anche perché è decisamente troppo tardi per fare una telefonata.”
    In realtà l’orario era soltanto una scusa. La verità era che, adesso che si trovava in una città in cui non conosceva nessuno, non aveva alcun desiderio di sentire le persone che in genere facevano parte della sua vita.
    «Nessuno» borbottò. «Non conosco nessuno... a parte Ronnie.»
    Era curioso come, ancora una volta, a distanza di pochi mesi si trovassero entrambi nella città di cui erano originari. Stavolta, però, non erano destinati a incontrarsi. Probabilmente Ronnie sarebbe tornato a Black Hill – perché ormai mancavano soltanto due giorni al suo rientro, a meno che il suo amico non avesse deciso di fermarsi di più, cosa di cui dubitava fortemente – senza sapere che lei si trovava a Starlit Spring.
    “Meglio così.”
    Yuma sentiva di avere troppi punti in sospeso da chiarire e non sarebbe certo stato positivo lasciarsi distrarre dalla presenza di altre persone. In un momento del genere anche coloro ai quali era legata dovevano diventare estranei.
    «Scoprirò cosa ti è successo, mamma» dichiarò, ad alta voce, come se Margot potesse sentirla. Non sapeva da che parte iniziare, ma qualcosa si sarebbe inventata, come aveva sempre fatto fin dal giorno in cui l’aveva persa. «Te lo devo.»

    Quando nella sua mente l’immagine di Yuma si sovrappose a quella di Kelly, Ronnie provò il solito istinto naturale di rifiuto.
    Kelly.
    Yuma.
    Kelly.
    Yuma.
    Il nulla.

    Kelly e Yuma non avevano niente in comune e l’una non era la conseguenza naturale dell’altra. Doveva abituarsi a non metterle sullo stesso piano. Anzi, forse era meglio che smettesse una volta per tutte di pensare alle donne; al massimo poteva dedicarsi a qualcuna che conduceva una vita tranquilla, una come Patricia Spencer, ad esempio, anche se il tempo, lo stesso tempo che avrebbe dovuto far rimarginare le ferite, scorreva troppo in fretta. Per quanto si sentisse scortese nei suoi confronti, considerava Patricia troppo vecchia per lui.
    “Forse il mio destino è quello di rimanere da solo” si disse, seppure non fosse convinto dell’esistenza del destino. Anzi, era sicuro che non esistesse: era stato lui, non il destino, a mettersi al volante quando non avrebbe dovuto. Era stato lui, non il destino, che si era reso conto che il cuore di Rick aveva smesso di battere. Ed era stato lui, infine, ad accettare la dannata proposta che Kelly gli aveva fatto.
    Si allontanò dal centro, come se spostandosi anche la sua mente potesse spostarsi su qualche riflessione più piacevole.
    Le strade erano deserte, a Starlit Spring non c’era mai nessuno in giro quando i negozi erano chiusi, e le serrande erano state abbassate ormai da ore. Essere solo gli trasmise un senso di pace interiore al quale difficilmente era capace di lasciarsi andare. Era una sensazione che gli piaceva, ma che svanì nel momento in cui si rese conto di trovarsi a poche vie di distanza da quella in cui abitava – o aveva abitato, qualora si fosse trasferita negli ultimi tempi – Kelly James.
    Sebbene le possibilità di vederla in giro a quell’ora fossero molto limitate, Ronnie avvertì un brivido gelido per nulla rassicurante. E se qualcosa non fosse andato per il verso giusto? E se Kelly, per qualche ragione, fosse stata fuori casa e lui se la fosse ritrovato davanti? E se si fossero ritrovati soli, faccia a faccia, cosa sarebbe accaduto?
    “Sto diventando paranoico” concluse. “Anzi, lo sono diventato molto tempo fa; l’unico problema è che peggioro giorno dopo giorno.”
    Cercò di convincersi che non c’era nulla che non andava e si guardò intorno. Gli parve di scorgere un’ombra in fondo alla strada buia, probabilmente un passante che con lui non avrebbe mai avuto niente a che fare.
    Notò quella che gli parve un’altra ombra, nelle tenebre di una notte di primavera rischiarata dai pochi lampioni che non erano stati presi a sassate dai vandali che si aggiravano – quando, dal momento che le strade apparivano sempre deserte, non era dato a sapersi – per viuzze e vicoli fatiscenti. Gli veniva incontro, questa era una donna.
    Kelly.
    Kelly.
    Kelly.

    “No, non può essere Kelly.”
    Sentiva il rumore di tacchi alti che rimbombavano nel portico costeggiato da serrande abbassate. Stando a quanto Ronnie ricordava, Kelly sosteneva di non essere in grado di camminare con i tacchi.
    Kelly.
    Kelly.

    Dentro di sé avvertì il bisogno di evitare di incrociare quella che, con tutta probabilità, era una perfetta sconosciuta.
    S’infilò in una via, sulla sua sinistra, la prima che trovò, non più illuminata di quella che aveva appena lasciato. Sapeva che stava agendo in modo irrazionale, ma non se ne curò. Se il destino esisteva, allora lui era destinato ad agire in modo tutt’altro che razionale. Gli bastarono pochi secondi per rendersi conto che, tra le due persone che aveva intravisto, aveva preso una decisione sbagliata a proposito di quale delle due fosse da evitare.
     
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