Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Prego, di niente. :D
    Comunque ho deciso di inserire anche la seconda parte del capitolo 17... e sulla risposta che già so, se è che non vedi l'ora che ritorni Ronnie, penso che le tue aspettative verranno soddisfatte! XD



    Era passata meno di una settimana da quando Ronnie, dopo avere ricevuto una telefonata inaspettata, aveva dichiarato con fermezza che, per nessuna ragione logica, si sarebbe mai presentato a Starlit Spring.
    «I miei genitori festeggiano il loro trentesimo anniversario di matrimonio» aveva spiegato a Michel e a Yuma, che aveva approfittato di un impegno del padre fuori città per trascorrere la serata a casa loro. «Vogliono che io li raggiunga.»
    «E tu naturalmente ci andrai» aveva osservato Yuma.
    Ronnie aveva scosso la testa, con decisione.
    «Neanche per sogno!»
    Yuma gli era sembrata sorpresa.
    «Perché no?»
    «Ronnie non è in buoni rapporti con loro» l’aveva avvertita Michel. «A quanto pare non sono l’unico che ha due genitori insopportabili.»
    La ragione per cui Ronnie desiderava con tutte le sue forze disertare quell’inaspettato appuntamento non era quella, naturalmente, ma non si era curato di specificarlo. Era meglio che Michel e Yuma continuassero a credere che non fosse colpa sua, se la situazione era degenerata già da molto tempo e se la sua volontà era quella di non tornare più a Starlit Spring.
    Il giorno successivo, però, la situazione era cambiata radicalmente: aveva commesso il madornale errore di accennare all’invito parlando con Patricia Spencer. La segretaria del suo datore di lavoro negli ultimi tempi non sembrava più intenzionata a rendergli la vita impossibile – aveva compreso, o almeno lo fingeva, che il massimo a cui poteva puntare con lui era un’amicizia – e questo aveva favorito un reciproco scambio di confidenze. Non erano amici intimi, questo Ronnie non lo metteva in discussione, ma forse un giorno avrebbero potuto diventarlo.
    Patricia l’aveva guardato subito con aria perplessa, poi gli aveva fatto notare: «Starlit Spring è la tua città, prima o poi dovrai tornare per forza. Tanto vale farlo in un’occasione in cui si festeggia qualcosa di positivo.»
    «Non mi sembra davvero il caso» aveva insistito Ronnie, ma la sua convinzione iniziava ad essere sempre meno forte. «Non credo che qualcuno desideri davvero rivedermi.»
    «O sei tu» aveva buttato lì Patricia, «che non vuoi vedere loro?»
    La verità stava nel mezzo, ma Ronnie non aveva mai accettato quella consapevolezza. Ammetterlo con sé stesso non era facile.
    «Forse anch’io preferisco evitare.»
    «Non dovresti» aveva ribadito Patricia. «Si tratta della tua famiglia. Che tu lo voglia o no, sarai legato a loro per tutta la vita.»
    Erano bastate poche parole a convincerlo e, non appena era tornato a casa dal lavoro, Ronnie aveva telefonato a sua madre. La sera precedente non le aveva dato una risposta precisa, ma si era limitato ad annunciarle una possibile difficoltà nell’ottenere qualche giorno di ferie. Nel comporre il numero si era vergognato di se stesso, che non aveva nemmeno avuto il coraggio di confessare a sua madre di non avere alcun motivo per presentarsi a quell’inconsueta riunione di famiglia.
    “Non tutto il male viene per nuocere” aveva comunque valutato subito dopo, mentre attendeva una risposta. “Forse è davvero stato meglio così.”
    Se sua madre non era stata felice di sentire la sua voce, al telefono, non solo non gliel’aveva dato a vedere, ma aveva mentito spudoratamente. A Ronnie era sembrato che fosse molto soddisfatta, molto di più di quanto lo fosse stata in altre occasioni.
    «Mi raccomando, non richiamare tra qualche giorno per dirmi che ci hai ripensato» l’aveva scongiurato, prima di riattaccare. «Sai bene che ci tengo molto alla tua presenza.»
    Ronnie si era chiesto per l’ennesima volta come avrebbe reagito se avesse scoperto cos’era accaduto la notte in cui Rick era morto.
    Gli tornarono in mente le parole di Kelly: «Nessuno lo verrà mai a sapere.»
    All’epoca ne era stato rassicurato, per poi accorgersi che convivere con un peso così grande non sarebbe mai stato semplice, specie quando si era reso conto che sua madre non aveva capito nulla, ma che era una dei pochi. Suo padre e Ralph, seppure non avessero alcuna prova in mano, avevano compreso tutto soltanto guardandolo negli occhi.
    Fu proprio la voce di Ralph che lo fece sussultare, mentre era affacciato alla finestra della cucina, a casa dei suoi genitori.
    «Forse avrei fatto meglio a rimanermene fuori ancora per un po’.»
    Ronnie si girò lentamente.
    «Anch’io sono felice di vederti» ribatté, sarcastico. «Comunque sì, non sarebbe stata una cattiva idea quella di restartene dov’eri.»
    «Ero con Natascha» lo informò Ralph.
    Dal tono con cui parlava, sembrava convinto che Ronnie dovesse avere qualche interesse nei confronti di quell’informazione.
    «Non sapevo che tra te e lei ci fosse qualcosa.»
    Ralph spalancò gli occhi.
    «Cosa?!»
    «Non sapevo che tra te e lei ci fosse qualcosa» ripeté Ronnie. «Hai sempre detto che secondo te non concluderà niente nella sua vita.»
    «Lo penso ancora» puntualizzò Ralph. «E tra me e lei non c’è niente, soltanto il peggiore degli idioti potrebbe pensarlo.»
    «Dimenticavo: il tuo interesse per le ragazze è inesistente. Al momento ti interessa solo lo studio, e probabilmente sarà così ancora per molti anni.»
    «Questi non sono affari tuoi» replicò Ralph, secco. «Non eravamo soli, io e Natascha. C’erano anche Aaron, Maya, Victoria e il suo ragazzo.»
    Ronnie obiettò: «Non mi pare di avertelo chiesto.»
    Ralph aggiunse: «Abbiamo parlato di te... non troppo bene.»
    «Da te non mi sarei aspettato altro, quindi la cosa non mi sorprende.»
    «Eppure sembri indifferente» osservò Ralph. «Credi che Natascha non sappia che tu hai avuto una storia con Kelly?»
    Ronnie sospirò, rassegnato.
    «Per quanto tempo ancora hai intenzione di parlare di lei?»
    «Ancora per molto tempo» rispose Ralph. «Ci sono cose che ancora non mi sono chiare.»
    «Una di queste immagino che sia la ragione per cui ti preoccupi così tanto di quello che è successo tra me e lei» ribatté Ronnie. «Non è da te occuparti di pettegolezzi. Una volta non dicevi che erano cose da donne?»
    «E tu li chiami pettegolezzi?» replicò Ralph. «Non mi pare che sia il termine giusto.»
    «Non vedo come dovrei chiamarli. Se preferisci, anziché pettegolezzi potrei definirli chiacchiere da paese.»
    «Non si tratta di chiacchiere da paese» insisté Ralph. «Un giorno tutti sapranno quello che hai fatto.»
    «Allora, se ne sei tanto sicuro» gli suggerì Ronnie, «Prova a iniziare a raccontarlo. Nessuno ti crederà.»
    Non ne era convinto per niente, era anzi sicuro al cento per cento che fossero in molti a condividere i sospetti che Ralph aveva sul suo conto – almeno quelli più sensati, ma qualcuno avrebbe potuto addirittura spingersi a credere che lui e Kelly avessero intenzionalmente messo fine alla vita di Rick per vivere alla luce del sole la loro “relazione” – ma quelle parole erano la sua unica possibilità di mostrarsi sicuro di sé almeno tanto quanto lo era Ralph.
    «Vedremo» rispose quest’ultimo. «Se fossi al tuo posto, non dormirei sonni tranquilli.»
    Era una frase fatta, ma Ronnie si rese conto che corrispondeva a realtà.
    Era più di quanto Ronnie potesse sopportare, perciò gli annunciò: «Credo appunto che me ne andrò a dormire. Restare qui ad ascoltarti è controproducente.»
    Ralph non lo fermò e Ronnie lo reputò un passo avanti.
    Guardò l’orologio che portava al polso, prima di entrare nella propria stanza. Era mezzanotte e mezza. Non era tardissimo: Ralph avrebbe potuto tranquillamente rimanere fuori casa ancora per un po’. In tal caso gli avrebbe fatto un grandissimo favore.
     
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