Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Prima parte del capitolo 16.



    Capitolo 16.
    Yuma era seduta al tavolo della cucina e stava sfogliando distrattamente un giornale, quando vide suo padre entrare nella stanza.
    «Perché non risolviamo tutto nel più semplice dei modi?» gli propose, per l’ennesima volta, sperando che si rendesse conto che le alternative c’erano – perché dovevano esserci, Yuma ne era sicura. «Non credo che tu abbia molte altre soluzioni.»
    «Sei tu che non hai soluzioni» replicò Melvin. «Seguire Dean e farti riportare a casa era l’unica cosa che potevi fare. Hai fatto una scelta molto intelligente.»
    Yuma obiettò: «Non sono sicura di essere riuscita, dopo essere stata narcotizzata, a fare delle scelte...»
    «Queste sono sottigliezze: non c’erano altri modi per convincerti a tornare» replicò Melvin. «Lo sai che né io né te staremmo bene, se fossimo separati l’uno dall’altra. Nessuno può dividerci: nessuno ha mai potuto farlo e non inizierà a succedere ora.»
    Yuma alzò gli occhi e lo fissò duramente.
    «Tu sei malato.»
    «No» obiettò suo padre. «Io non potrei fare a meno dell’unica donna che amo.»
    «Io sono tua figlia. Per quanto non ti piaccia questa idea – e puoi stare sicuro che io stessa ne sono disgustata – devi accettare la realtà: non c’è niente che tu possa fare, devi solo arrenderti e, se non riesci a stare da solo, trovare una donna che possa amarti per quello che sei.» Yuma abbassò lo sguardo. «Se lo farai e riuscirai a provare un amore sincero per una donna, o anche soltanto una banale attrazione sessuale, non farò niente per metterti i bastoni tra le ruote: non le rivelerò mai tutto il male che mi hai fatto.»
    «Io non ti ho mai fatto del male» la contraddisse Melvin. «Tu sei quello che rimane di Margot! Non puoi non essere lei, sei la donna che amo tornata in un altro corpo, un regalo che non pensavo di meritare.»
    «Io non sono Margot in un altro corpo» replicò Yuma. «Se lo pensi davvero sei pazzo... e se lo dici per giustificare tutto quello che mi hai fatto, la situazione forse è ancora peggiore. Devi farti curare, perché stai diventando più pericoloso di quanto tu sia mai stato.»
    Melvin scosse la testa.
    «Io non sono pericoloso.»
    «Sì, invece. Hai fatto del male a me e stavi per farne a Heaven.»
    «Tu l’hai portata via.»
    Yuma sospirò.
    «Cos’altro potevo fare? Dovevo proteggerla.»
    «Non ce n’era bisogno» rispose Melvin. «Sai bene che, finché tu sarai qui, insieme a me, non la toccherò.»
    «Lo stavi per fare e io ti ho colto sul fatto» gli ricordò Yuma. «Se così non fosse stato, non l’avrei portata via.»
    «È stato un errore, non avrei dovuto» ammise Melvin. «Sei tu quella che amo.»
    «Non dire cazzate.»
    «Non lo sto facendo. Io ti amo e so che tu ami me. Tu sei la mia Margot.»
    Yuma si chiese se valesse la pena di rispondergli e optò per rimanere in silenzio. S’irrigidì quando vide suo padre avvicinarsi.
    «Lasciami in pace» lo pregò, scattando in piedi.
    «Quando ammetterai che io e te siamo anime gemelle, tutto sarà più semplice.»
    Yuma scosse la testa.
    «Sono stanca di queste risposte.»
    «E io sono stanco di vederti mentre tenti di sfuggirmi e fingi di poter vivere anche senza di me, Margot!»
    Yuma spalancò gli occhi.
    Margot.
    Suo padre era arrivato a chiamarla Margot. Si ritrovò a domandarsi quale sarebbe stato il passo successivo e sperò di non scoprire mai quale fosse la risposta.
    «Margot» ripeté, «Perché non dici nulla?»
    «Se la tua Margot, quella vera, fosse qui e potesse vederti, inorridirebbe» puntualizzò Yuma. «Non è fingere che io sia lei il modo migliore per onorare la sua memoria, non credi?»
    «Io la amavo e lei mi è stata portata via» insisté Melvin. «Ho avuto la fortuna di riaverla, non puoi essere tu a negarmela.»
    «Non...»
    Melvin la interruppe: «Dimmi che la vera Margot sei tu. Dimmelo, Yuma, oppure non sarò mai in grado di avere pace.»
    Margot.
    La vera Margot.

    Yuma si chiese per l’ennesima volta come sarebbero andate le cose se sua madre non fosse stata assassinata da ignoti in quella che doveva essere una normale notte di Starlit Spring.
    Melvin non era pazzo, prima di perderla, e non aveva mai mostrato un interesse morboso e malato nei suoi confronti.
    “Ma è davvero così?”
    Il ricordo improvviso di un giorno come tanti, uno di quelli che aveva cercato di lasciarsi alle spalle da quando sua madre era morta ed era iniziato quell’incubo che non sembrava poter finire almeno a breve, la portò a chiedersi se quello che aveva sempre considerato un dato di fatto corrispondesse a una verità innegabile.

    Si era fatto ormai troppo tardi e Yuma era uscita dal cancello: non voleva che qualche insegnante le chiedesse come mai i suoi genitori non fossero ancora venuti a prenderla un’ora e mezza dopo l’inizio delle lezioni. Non c’era più nessuno in giro, ma nonostante questo non aveva avuto paura, anche se prima di allora sua madre non aveva mai ritardato così tanto.
    Il cielo si era fatto sempre più grigio e qualche goccia aveva iniziato, a poco a poco sempre più intensamente, a cadere.
    Yuma si era seduta sul marciapiede accanto al parcheggio ed era rimasta in attesa, senza guardare l’orologio: non le interessava sapere che sua madre avrebbe dovuto essere lì molto tempo prima, quello che contava era che sarebbe venuta: questo non l’aveva messo in discussione nemmeno per un istante.
    Le prime gocce di pioggia si erano intensificate in pochi minuti in una cascata d’acqua. Yuma era inzuppata quando finalmente aveva visto sua madre venirle incontro.
    Era bagnata quanto lei. Correva sui tacchi alti.
    «Yuma!» l’aveva chiamata a gran voce. «Yuma, sono qui!»
    A quel punto si era alzata di scatto e le era corsa incontro.
    «Mamma!»
    «Scusami» aveva mormorato sua madre, abbracciandola. «Non volevo fare tardi.»
    Yuma si era accorta che aveva gli occhi lucidi.
    «Non preoccuparti» l’aveva rassicurata, stringendola forte tra le braccia.
    Aveva sentito che tremava, forse non solo per il freddo.
    «Cos’è successo, mamma?»
    Sua madre si era liberata dal suo abbraccio e aveva scosso la testa.
    «Lascia stare.»
    Yuma l’aveva guardata con aria implorante.
    «A me puoi dirlo.»
    «No, Yuma» aveva replicato sua madre. Aveva sorriso, nonostante le lacrime che, confondendosi con la pioggia, le scendevano lungo le guance. «Forse un giorno capirai, anche se spero che tu non sia mai messa di fronte al fatto di dover comprendere. Comunque vadano le cose, ti prometto che non permetterò a nessuno di farti del male.»
    «Chi dovrebbe farmi del male?»
    «Dico così, per dire.» L’aveva fissata a lungo. «Ora, però, devi essere tu a farmi una promessa, va bene?»
    Yuma aveva annuito.
    «Va bene.»
    «Se qualcuno dovesse comportarsi in modo strano con te, tu mi avvertirai.»
    «In modo... strano?»
    Sua madre aveva annuito.
    «Tutto quello che non ti sembra normale» le aveva spiegato. «Intendo dire, se qualcuno dovesse avvicinarsi a te... in modo diverso dal solito.»
    Seppure non avesse capito che cosa intendeva dirle sua madre, Yuma aveva accettato: «Prometto che ti dirò tutto.»
    «Anche se a comportarsi in modo strano fosse qualcuno di cui ti fidi?» aveva aggiunto sua madre, a quel punto. «Qualcuno a cui vuoi bene?»
    Yuma aveva confermato: «Sì.»
     
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