Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    La prima parte la posto adesso. :D



    Capitolo 15.
    Ronnie si era dato una scadenza e questa era abbondantemente superata: quando non era riuscito a scoprire nulla chiamando Naive aveva deciso che avrebbe atteso fino all’ultimo giorno di settembre poi, se Yuma non si fosse fatta viva, si sarebbe deciso e sarebbe ripartito per Black Hill e riprendere la propria vita di tutti i giorni. La sua partenza improvvisa non gli aveva nemmeno causato problemi al lavoro – essere al primo posto nella lista che Patricia Spencer teneva a proposito degli uomini che le sarebbe piaciuto frequentare talvolta gli garantiva uno status privilegiato – e doveva approfittare almeno di quella fortuna.
    Inoltre era già il 2 ottobre: aveva deciso di attendere Yuma per tutto il weekend, prolungando l’attesa quindi anche alla domenica, primo giorno del mese, ma ancora una volta non era cambiato nulla, quindi non valeva più la pena di attendere.
    Non era cambiato nulla, almeno in apparenza, ma Ronnie non negava che rivedere Ralph ancora una volta – per caso, non aveva certo cercato lui quell’incontro – aveva complicato le cose e l’aveva costretto ad affrontare un’altra notte di incubi.
    Affacciandosi alla finestra dalla quale non vedeva certo il migliore dei panorami – forse era questa la ragione per cui la giovane cameriera con cui aveva parlato giorni prima trovava così tanto fascino nei pavimenti che contemplava come se fossero stati una delle sette meraviglie del mondo – si domandò se dare la colpa a Ralph non fosse soltanto una scusa. Forse lo era: se avesse avuto la coscienza pulita, non avrebbe avuto alcun problema ad affrontare le accuse che suo fratello un tempo si limitava a lanciargli soltanto velatamente e che adesso gli metteva davanti senza usare mezzi termini.
    «Convincerò Kelly a confessarmi tutto» l’aveva avvertito, comparendo all’improvviso alle sue spalle.
    Ronnie si era girato di scatto; non l’aveva sentito arrivare.
    «Che cosa ci fai qui?»
    «Potrei farti la stessa domanda» aveva replicato Ralph, «E ti ricordo che tra noi due sono io quello che risiede a Starlit Spring e che quindi ha tutti i diritti di stare qui.»
    «Non sapevo che a Starlit Spring non fossero ammessi i non residenti... o meglio, quelli che non abitano più qui dopo averci trascorso oltre vent’anni!»
    «Quelli che non hanno scheletri nell’armadio non mi danno fastidio. Tu, però, non appartieni a quell’innocua categoria.»
    Ronnie aveva obiettato: «Se la mia presenza ti infastidisce così tanto, nessuno ti obbliga a venirmi a parlare se mi vedi per strada.»
    «Ne farei volentieri a meno» aveva risposto Ralph, «Ma ritenevo opportuno dirti che cos’ho intenzione di fare.»
    «Me l’hai appena detto, appunto.»
    «Ma non ho finito...»
    Ronnie aveva alzato gli occhi al cielo.
    «Allora finisci, così puoi andartene una volta per tutte.»
    Ralph gli era sembrato divertito, mentre replicava: «Niente finisce così, una volta per tutte, quindi ti sarà molto difficile liberarti di me, a meno che tu non scelga di tornartene da dove sei venuto e di permettere a tutti noi di non doverci più sorbire la tua presenza!»
    «Concludi il tuo discorso, in ogni caso» l’aveva esortato Ronnie. «Non ho tempo da perdere.»
    «Fai bene a non voler perdere tempo» aveva rimarcato Ralph. «Niente finisce così, una volta per tutte, tranne la vita. Quante persone ci sono che muoiono senza nemmeno rendersi conto che la loro vita sta terminando?»
    Ronnie aveva abbassato lo sguardo.
    «Tante, suppongo.»
    «Esatto, specie quando la sorte avversa ci si mette di mezzo.» Ralph si era interrotto e l’aveva fissato a lungo, prima di proseguire: «Oppure, certe volte, non è una questione di mera sfortuna. Si può morire anche perché qualcuno aiuta la sfortuna a far capitare certe cose. Immagino che tu e Kelly ne sappiate qualcosa.»
    Ronnie aveva finalmente annuito.
    «Appunto, è quello che immagini, come tu stesso hai appena detto.»
    «Vuoi forse negare che sia la verità?»
    «Il tuo problema, Ralph, è che credi di avere in mano una verità di cui in realtà non hai alcuna prova» aveva puntualizzato Ronnie. «Sei talmente tanto convinto che Rick non possa essere responsabile della propria morte che ritieni che tutto quello che pensi sia necessariamente vero. Ti è mai venuto il sospetto che non possa essere veramente così?»
    «A volte sì» aveva ammesso Ralph, «Ma mi è bastato guardarti negli occhi per capire che avevo ragione. Tu e Kelly volevate vivere la vostra tresca alla luce del sole e avete pensato bene di liberarvi di Rick!»
    Ronnie l’aveva guardato con gli occhi spalancati per lo stupore.
    «Tu... tu pensi che...?»
    Ralph l’aveva interrotto: «Mi sono chiesto per anni quali fossero le ragioni. Non appena ho scoperto che cosa c’era tra te e lei, ho capito che il motivo doveva essere questo. Poi, ovviamente, deve essere successo qualcosa di poco piacevole tra di voi, altrimenti avreste recitato la parte delle persone addolorate che, dopo un tempo sufficientemente ragionevole, capiscono di essere fatte per stare insieme.»
    «Queste sono soltanto fantasie» aveva replicato Ronnie, contento di potere finalmente dare una risposta sincera. «Non ho mai sentito niente di più ridicolo e non credo di avere motivi validi per starti ad ascoltare.»
    Aveva voltato le spalle al fratello e aveva fatto per andarsene, fermandosi soltanto quando aveva udito la sua voce ancora una volta.
    «Lo vedi? Invece di dare la tua versione dei fatti te ne vai. Questa è l’ennesima prova che hai qualcosa da nascondere.»
    «Per me non c’è niente di più irrilevante del tuo parere» aveva replicato Ronnie, pronto ad andarsene davvero.
    Si era fermato ancora una volta quando Ralph gli aveva confidato: «Penso di avere trovato un modo per costringere Kelly a raccontarmi per filo e per segno che cos’avete fatto. Sono pronto a fare qualsiasi cosa pur di scoprire che cos’è successo davvero a Rick.»
    «Potresti accontentarti di quello che già sai» gli aveva suggerito Ronnie. «Non sono convinto che Kelly possa dirti molto.»
    Sapeva che, sebbene Kelly fosse al corrente di tutto quello che era successo, non avrebbe mai parlato: nessuno aveva la benché minima prova contro di lei, a parte lo stesso Ronnie, che ovviamente non avrebbe mai permesso che il loro segreto venisse alla luce. Tutto quello che Ralph gli aveva detto il giorno precedente non lo spaventava. Non era nemmeno stato in grado di replicare alle sue parole, probabilmente aveva già esaurito tutte le possibili accuse e aveva capito che più si arrampicava sugli specchi e più si allontanava dalla verità che aveva intuito.
    “Dovrebbe mettersi il cuore in pace” pensò Ronnie, “almeno lui che quella sera preferì rimanere a casa a studiare piuttosto che uscire con noi.”
    Quella mattina non fu costretto a sforzarsi troppo per scacciare quelle riflessioni: sapeva già che non poteva fare null’altro, se non andarsene una volta per tutte da Starlit Spring.
    Raccolse i propri effetti personali, lasciò la stanza, saldò il conto – quello di Yuma risultò essere stato già pagato, anche se non da lei in prima persona – e salutò per l’ultima volta la giovane cameriera che, nel weekend appena trascorso, non aveva visto nemmeno una volta.
    «Spero che possa rivedere presto la sua amica» aggiunse lei, un attimo prima di scomparire per sempre dal suo campo visivo.
    «Lo spero anch’io» mormorò Ronnie, tra sé e sé, mentre usciva, anche se sospettava fortemente di dover attendere il proprio rientro a Black Hill per poter vedere di nuovo qualcuno di sua conoscenza.
    Le sue aspettative vennero smentite all’istante Ronnie strabuzzò gli occhi per la sorpresa nel vedersi apparire davanti Michel.
     
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