Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Eccomi qui con la parte finale del capitolo 7.


    Era stato un errore assurdo, Michel lo sapeva, ma non aveva comunque compromesso la loro serata. Anzi, rivelandole la sua vera identità era anche riuscito a ottenere qualche confidenza da parte di Kelly.
    Aveva trascorso la serata con lei finché alle dieci e tre quarti Kelly non era rientrata in casa.
    «Domani mattina devo aprire il bar alle sei» si era giustificata. «Senza contare che oggi ho fatto quattordici ore di lavoro con una sola mezz’ora di pausa nel mezzo.»
    Michel aveva replicato che non c’era bisogno di spiegazioni, ero salito sulla sua vecchia Volkswagen e si era avviato per tornare verso l’alloggio che gli era stato assegnato su incarico di Tom Harvey.
    Il desiderio di telefonare a Ronnie e domandargli se avesse un fratello morto in un incidente stradale era forte, ma si trattenne. Ormai era in grado di capire quali fossero gli argomenti di cui si poteva parlare e quali fosse meglio evitare.
    Nonostante tutto, nel momento in cui notò una cabina telefonica accostò, scese dall’auto e provò a chiamare Ronnie. Il telefono squillava a vuoto. Peccato: c’era una scusa in meno per tardare ancora di più il suo rientro, dal momento che era certo che avrebbe trovato Dean Tray ad attenderlo e non aveva la benché minima voglia di vederlo.
    “Strano che Ronnie non sia in casa” osservò, mentre risaliva in macchina.
    Il suo coinquilino non frequentava locali, né aveva una ragazza o altri amici all’infuori di lui, almeno a Black Hill. Dove poteva essersi cacciato?
    “Ha venticinque anni compiuti ieri: ovunque sia, è sicuramente in grado di badare a se stesso.”
    Avviò il motore e ripartì.
    Quando arrivò parcheggiò sul lato della strada, a poche decine di metri dal palazzo fatiscente in cui si era stabilito, dove immancabilmente notò Dean che lo stava aspettando davanti al portone.
    Quando lo raggiunse, Michel si accorse di parecchi mozziconi di sigaretta a terra e lo vide che gettava via l’ennesimo.
    «Dovresti fumare meno» gli suggerì. «Potresti vivere qualche anno di più.»
    «Ti aspettavo per le nove» gli ricordò Dean, seccato. «Alle nove e mezza ero qui a vedere se c’eri e per caso ti eri scordato del nostro appuntamento. Solo ora che sono le undici passate ti sei degnato di tornare a casa.»
    Michel sbuffò.
    «Non ci sei solo tu.»
    «Non pretendo di esserci solo io, mi basta che tu non abbia impegni nei momenti in cui c’è bisogno di te per questioni di lavoro.»
    «Stanotte ti ho atteso fino all’alba, qualora tu te ne sia dimenticato.»
    «Quella è un’altra storia» ribatté Dean. «È Harvey a dettare e regole, non tu; e in sua assenza sono incaricato di pensarci io.»
    “Di male in peggio!” pensò Michel. “Questo individuo insulso crede che io sia al suo servizio!”
    Si morse la lingua per evitare di insultarlo e tutto sommato fu un bene, dal momento che Dean gli comunicò: «Harvey – e se non ti fidi puoi chiamarlo tu stesso e chiedergli conferma – mi ha pregato di valutare con attenzione le tue performance nell’eseguire l’incarico che ti è stato affidato. Solo se ti mostrerai all’altezza conserverai il tuo lavoro.»
    «Comprendo» rispose Michel in tono pacato.
    Dean sorrise, sprezzante.
    «Sapevo che avresti compreso.»
    Michel non disse nulla e Dean gli indicò il portone.
    «Apri.»
    «Devi salire?»
    «Ovvio» rispose Dean. «Non ho intenzione di dirti cosa devi fare qui, davanti a casa. Potrebbe passare qualche ficcanaso, non credi?»
    «Beh, sì.»
    «Allora apri quella porta, e fallo in fretta, che anche questo è oggetto di valutazione.»
    Michel non sapeva se ridere o se piangere dallo sconforto.
    «Pure questo?!»
    «Tutto, dall’inizio alla fine» confermò Dean.
    Michel non replicò e si limitò a inserire la chiave nella toppa.
    «Sbrigati» insisté Dean. «Non ho intenzione di lasciare che si faccia notte.»
    Michel non riuscì a trattenersi: «Deve venire a casa tua la puttana di ieri sera?»
    «Questi non sono affari tuoi» replicò Dean mentre si introducevano nello stabile e salivano due piani di scale. «Io non ti chiedo come trascorri il tuo tempo libero e pretendo che tu badi agli affari tuoi a tua volta.»
    Non appena entrarono nell’appartamento, Dean chiuse la porta e lo condusse in cucina. Evidentemente conosceva alla perfezione la disposizione delle stanze.
    «Siediti» gli ordinò, e mentre Michel lo faceva si accomodò a sua volta di fronte a lui.
    Prese fuori una busta dalla sua giacca di finta pelle che, Michel se ne sorprese, non era stropicciata, a differenza delle altre cose che uscivano dalle sue tasche.
    Gliela porse e Michel gli domandò: «Cos’è?»
    «Perché non provi ad aprirla?» ribatté Dean, sprezzante.
    Dentro c’era la fotografia di una ragazza.
    «Chi è?»
    «Si chiama Natascha Harris. Ha ventitré anni e lavora in una rosticceria qui a Starlit Spring.»
    «Sì, ma cosa c’entra con l’omicidio di Margot Emerson?»
    «Natascha era insieme ad alcuni amici nel locale vicino al luogo del delitto, la notte in cui la signora Emerson fu assassinata.»
    Michel spalancò gli occhi.
    «Quindi c’entra qualcosa con l’assassinio?»
    «Natascha no» rispose Dean. «I suoi amici può darsi.»
    «Devo farle delle domande o che altro?»
    Dean scosse la testa.
    «Se le chiedi qualcosa è la fine: qualcuno che non deve lo verrà a sapere e tu finirai col fare una brutta fine... alla quale potresti scampare, è vero, ma perderesti il tuo lavoro.»
    «Quindi cosa dovrei fare con Natascha?»
    Dean ridacchiò.
    «Molto semplice: per il momento limitati a scopartela.»
    «A...» Michel pensò di avere capito male. «Che cosa...?»
    Dean scoppiò in una risata fragorosa.
    «Che c’è, Sallivan, non conosci il significato del termine?»
    «Sì, lo conosco, ma...»
    «Niente ma. Avrei potuto affidarti un incarico noioso, invece ti si chiede solo di sedurre una ragazza e di conquistare la sua fiducia. Per giunta è carina.»
    «Sì, devo ammetterlo, non è male» convenne Michel, osservando la fotografia. «Però io sono già impegnato, e proprio con la figlia di Margot Emerson.»
    «Nessuno, in particolare la tua ragazza, verrà mai a sapere cos’hai fatto con Natascha» gli ricordò Dean, alzandosi di scatto e uscendo dall’appartamento senza aggiungere altro.
    Quando Michel sentì il portone sbattere si affacciò alla finestra e lo vide allontanarsi a piedi.
    Dodici ore più tardi telefonò all’ufficio di Tom Harvey. Gli rispose Rachel, la segretaria, una donna sui cinquanta che, per quanto ne sapeva, era la cugina del suo datore di lavoro.
    «Passami Harvey» la pregò.
    «Non c’è» rispose lei.
    Michel sapeva bene che mentiva e non era certo disposto ad arrendersi.
    «So che è lì. Passamelo, prima che mi decida ad abbandonare il lavoro.»
    Erano parole magiche che funzionavano sempre: Tom non avrebbe trovato facilmente qualcuno con cui sostituirlo.
    Un attimo più tardi Harvey si presentò al telefono.
    «Che cosa vuoi?» gli domandò, brusco come sempre.
    «Per prima cosa vorrei sapere dove sei andato a pescare quell’imbecille di Dean Tray.»
    «Piano con le parole» lo ammonì Harvey. «Ricordati che è uno dei miei collaboratori più fidati.»
    «Sarà, ma non mi convince.»
    «E, sentiamo, per quale motivo?»
    «Si è messo in testa delle cose assurde.»
    «Del tipo?»
    «Per esempio sostiene che mi devo portare a letto una tizia che lavora in una rosticceria.»
    «Natalie Harris?»
    «Natascha Harris» lo corresse Michel.
    «Beh, sì, quella.»
    «Sostiene che è necessario per scoprire informazioni.»
    «Lo è, infatti» convenne Harvey. «Vai a cercare quella Natascha e cerca di raggiungere qualche risultato. È per eseguire gli ordini che vieni pagato, non per fare di testa tua.»
    «E io ti ricordo che non ho intenzione di fare niente che sia ai limiti della legalità.»
    «Fare sesso con una ragazza maggiorenne non è vietato dalla legge, mi pare.»
    Prima che Michel potesse replicare, Harvey riattaccò.
    “E ora?” si chiese.
    Era una faccenda che non gki piaceva affatto. Per la prima volta da quando lo conosceva, si ritrovò a invidiare Ronnie. Fare il contabile non doveva essere poi così terribile. Almeno non implicava di andarsene in giro per le rosticcerie a rimorchiare sconosciute alle quali forse, un giorno, carpire informazioni che potevano essere lontanamente connesse a un delitto.
    Nel tardo pomeriggio provò a telefonargli, ma non lo trovò in casa. A quel punto tentò di rintracciare Yuma, pronto a riattaccare qualora gli avesse risposto suo padre – come inspiegabilmente l’aveva pregato di fare fin da quando avevano iniziato a frequentarsi, qualche mese prima – e anche in questo caso non ricevette risposta.
    “Sono spariti tutti quanti nel nulla?” si chiese, con un certo stupore.
    In quel momento il telefono prese a squillare. Proprio come si aspettava, era Dean Tray.
    Gli fornì un’informazione che avrebbe potuto essergli d’aiuto: il nome della rosticceria in cui lavorava Natascha Harris. Michel se lo appuntò e decise che il giorno seguente sarebbe andato a cercarla.
    “Alternative praticabili non ne ho, dopotutto.”
    Sperò che non fosse necessario spingersi troppo oltre. C’erano ragazze a cui bastava pagare da bere per convincerle a parlare e sperava che Natascha fosse una di quelle.
     
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