Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Parte conclusiva del capitolo 5.



    Poteva essere un’ottima idea, valutò Michael.
    «Mi chiamo Ronnie» mentì, pensando al suo coinquilino a Black Hill. «Ronald Craven.»
    La cameriera sbiancò.
    «R-Ronald Craven?»
    «Sì.»
    Michel si accorse che tremava.
    “Sono un idiota di prima categoria” si disse. “Ronnie è di Starlit Spring!”
    Per quanto il mondo avrebbe dovuto essere piccolo per rendere possibile quell’eventualità, quella cameriera impicciona avrebbe potuto conoscerlo.
    «C’è qualcosa che non va?» cercò quindi di rimediare. «Sembri sconvolta.»
    Kelly scosse la testa.
    «No, niente. Semplicemente mi è capitato di conoscere una persona che portava quel nome... e spero di non rivederlo mai più.»
    “Bene” si disse Michel. “Se il Ronald Craven che conosce è Ronnie, allora anche lui ha qualcosa da nascondere.”
    «Quel Ronald Craven mi somiglia?» le domandò.
    «Per niente» si affrettò a rispondere Kelly. «Ha i capelli scuri... e due occhi grigi da incantatore.»
    Una descrizione fisica era proprio ciò che sperava e, sebbene la cameriera si fosse limitata a pochi dettagli, da quelle poche parole avrebbe potuto essere lui, anche se ovviamente Michel non era mi stato sensibile al presunto fascino degli occhi “da incantatore” di Ronnie.
    Kelly continuò: «Si è rivelato il peggiore stronzo che io abbia mai incontrato.»
    «Peggio del tuo datore di lavoro?» azzardò Michel.
    «Direi di sì. A causa del titolare di questo bar di merda non ho mai perso nulla di prezioso.»
    Michel sorrise.
    «Devo notare che sei una ragazza molto raffinata. Non è che gli fai scappare i clienti? Poi non lamentarti che fa lo stronzo.»
    Kelly replicò: «Con i clienti in genere sono molto più educata; con quelli che non si chiamano Ronald Craven, almeno.»
    A quel punto Michel avrebbe voluto rivelarle che le aveva mentito sul proprio nome, ma non gli sembrava il caso: gli avrebbe senz’altro chiesto per quale dannata ragione lo aveva fatto e non gli andava affatto di spiegarglielo... anche perché una spiegazione non c’era; voler conservare l’anonimato sarebbe stato sensato soltanto finché avesse continuato a farlo.
    «È meglio se vado, ora» annunciò quindi. «Devo incontrare una persona.»
    «A quest’ora?» si sorprese Kelly.
    «Beh, in realtà avrei dovuto incontrarlo due o tre ore fa.»
    Kelly lo scrutò con attenzione.
    «Inizio a comprendere la ragione di quelle occhiaie così marcate.»
    “Occhiaie?!”
    Tutto sommato era una cosa normale. La sua intenzione era quella di sdraiarmi in un letto molto prima, non di lasciare che venisse giorno a causa di un collaboratore che non si degnava di mantenere gli impegni.
    «Non sei del posto, vero?» gli domandò Kelly.
    “Un po’ di fatti suoi proprio non se li potrebbe fare?” si domandò Michel, infastidito.
    Le rispose, secco, sperando che capisse che non voleva aggiungere altro: «No.» Indietreggiò di un passo, in modo da essere più vicino alla porta. «Ora, se permetti, andrei al mio appuntamento.»
    Kelly annuì.
    «Buona fortuna. E, mi raccomando, non bere troppa acqua, che poi devi tornare al bagno!»
    Michel ignorò la sua battuta e si diresse verso l’uscita.
    Si stava proprio bene all’aria aperta e con la vescica vuota... Sopportare l’insistenza di Kelly era stato un nonnulla, ne valeva la pena, valutò a posteriori, se questo significava non avere più la necessità di trovare un posto in cui liberarsi dei liquidi in eccesso.
    Il collaboratore non aveva avuto fretta di incontrarlo e ora non aveva fretta nemmeno lui, perciò si avviò verso la sua vecchia Volkswagen a passo lento, con la bottiglia d’acqua nella mano destra. Se proprio quel tizio fosse arrivato e si fosse lamentato di non averlo trovato avrei sempre potuto fracassargliela nel cranio...
    “Ah, no, è di plastica!”
    Non appena scorse la macchina, notò anche un uomo sui trentacinque anni che vi stava appoggiato contro. Portava una cintura piena di borchie, che sfregava proprio contro la sua macchina.
    “Quanto vorrei avere una bottiglia di vetro tra le mani!”
    Michel si affrettò a raggiungerlo e, proprio quando gli comparve davanti, l’altro gettò a terra la sigaretta ormai finita che stava fumando.
    «Tu dovresti essere Michel Sallivan.»
    Michel osservò con attenzione quanto più poteva della carrozzeria della Volkswagen.
    Si schiarì la voce e propose: «Non è che ti potresti spostare?»
    L’altro rise.
    «E perché mai? Hai paura che ti rovini questo cesso di macchina?»
    «Quel... cesso?!»
    «Hai ragione, non c’è motivo di starci appoggiato. Non vorrei sporcarmi di merda.»
    Si spostò in avanti e Michel, mentalmente, maledisse Tom Harvey. Se voleva metterlo alla prova per vedere quanto era in grado di resistere prima di commettere un omicidio, ci stava riuscendo alla grande.
    «Il tuo capo mi ha detto che sei un fenomeno» insisté il suo collaboratore. «A vederti si potrebbe tranquillamente bollarti come sfigato, ma non mi sono mai lasciato ingannare dalla prima impressione.»
    «Nemmeno io mi lascio ingannare dalla prima impressione» replicò Michel. «Per questo aspetterò prima di dedurre che tu sia un figlio di puttana.»
    L’altro rise.
    «Quando avrai terminato con le tue chiacchiere, potremmo occuparci di cose serie.»
    «Sarebbe anche il caso» obiettò Michel. «Harvey mi aveva detto che saresti arrivato nella notte.»
    «Ci ho provato, ma quella puttana che mi sono portato a casa ieri sera non ne voleva sapere. Dato che mi ha fatto divertire parecchio e che costava poco forse ho tardato un po’.»
    Michel si domandò dove diamine andasse Harvey a scovare quella gente. Il suo “collaboratore serio e affidabile” gli sembrava un emerito idiota.
    Finalmente si decise a fare qualcosa, prendendo fuori un foglio stropicciato da quella che sicuramente spacciava per una costosissima giacca di pelle, nonostante si vedesse lontano un miglio che era prodotta in materiale sintetico.
    Non era un foglio: era una mappa di Starlit Spring.
    «Sentiamo, cosa ci dovrei fare con questa cosa?» gli chiese Michel.
    «Qualora tu non te ne sia accorto, c’è un asterisco rosso a indicare un particolare luogo.»
    In effetti non ci aveva fatto caso.
    «Sembra una viuzza secondaria.»
    «Esatto» confermò il collaboratore fidato o presunto tale. «Proprio lungo quella strada un tempo c’era un discopub. E proprio a poche centinaia di metri da lì, tu-sai-chi fu assassinata da ignoti. Ti è richiesta una cosa molto semplice ed elementare: scoprire il colpevole... o molto più probabilmente i colpevoli.»
    Non era niente di più di quanto Michel si sarebbe aspettato, ma non immaginava che sarebbe stato da solo.
     
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