Anime di metallo

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  1. Milly Sunshine
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    Oggi mi sento piuttosto buona e ho deciso di accontentarti! u.u Purtroppo in questo capitolo non c'è Ronnie. Ecco comunque la prima parte, più tardi arriverà anche la seconda.



    Capitolo 5.
    Michel attendeva, seduto in macchina in una via secondaria, mentre albeggiava su Starlit Spring. Sul sedile accanto al suo vi era una bottiglia di acqua frizzante ormai vuota, accanto all’altra che si era scolato in precedenza, e il suo bisogno di andare in bagno incrementava minuto dopo minuto.
    Nessuno di Black Hill, ad eccezione di Tom Harvey, sapeva dove si trovasse.
    «Devo andare a Dark River» aveva comunicato al suo coinquilino, l’unico a cui aveva parlato della sua imminente partenza.
    «Dark River...» si era stupito Ronnie, «Cioè la città in cui sei nato?»
    «Conosci altre Dark River?» aveva replicato Michel, cercando di sembrargli credibile.
    Ronnie gli aveva chiesto, subito dopo: «Il fatto che tu vada proprio lì c’entra qualcosa con la tua professione?»
    Questo significava, probabilmente, che gli aveva creduto. Tutto sommato almeno parte di quanto gli aveva raccontato corrispondeva a realtà: era a Starlit Spring, anziché a Dark River, ma era proprio una questione professionale a portarlo lì, anche se poteva avere implicazioni che andavano ben oltre la sfera lavorativa.
    «Devi partire stasera stessa» gli aveva spiegato Tom Harvey. «Non c’è tempo da perdere.»
    «E se non potessi?» aveva replicato Michel. Sapeva di essere un collaboratore prezioso per Harvey, che generalmente finiva sempre per arrendersi alle sue esigenze. «Se stasera volessi andare al cinema con la mia ragazza, tu me lo impediresti?»
    «È un incarico di grande importanza» aveva puntualizzato Harvey. «A proposito, la tua ragazza si chiama per caso Yuma Emerson?»
    Michel aveva annuito.
    «Proprio così... ma perché vuoi saperlo?»
    «Di questo ne parleremo dopo» aveva replicato Harvey. «Veniamo alle cose serie: accetti o devo fare a meno di te?»
    Michel aveva alzato gli occhi al cielo.
    «Pensi che potrei non accettare?»
    «No» aveva ammesso Harvey. «Considera pure la mia domanda come una semplice formalità.»
    «Di cosa si tratta?»
    «Hai molta fretta di scoprirlo, vedo.»
    «Non dovrei?» aveva obiettato Michel. «Di solito ho l’abitudine di informarmi su che cosa mi ritroverò davanti.»
    «È proprio questo che mi piace di te» aveva confermato Harvey. «A proposito, sai come raggiungere Starlit Spring?»
    Quel nome era stata una vera sorpresa.
    «S-Starlit Spring?»
    «Mi aspettavo una reazione del genere» aveva ammesso Harvey. «Non vorrai tirarti indietro, spero.»
    «Neanche per sogno.»
    «Era proprio quello che volevo sentirti dire» aveva concluso Harvey, prima di spiegargli che, una volta giunto a Starlit Spring, gli sarebbe bastato collocarsi lungo una strada ben precisa e a quel punto un suo collaboratore di fiducia gli si sarebbe avvicinato per dargli informazioni a proposito del caso di cui doveva occuparsi.
    L’incontro doveva avvenire nel cuore della notte, ma non si era visto nessuno. Michel aveva passato ore ad ascoltare la radio, nonostante la ricezione non fosse buona, forse a causa della vicinanza al mare.
    Non ne poteva più di stare seduto sul sedile scomodo di una vecchia Volkswagen, così spalancò la portiera e decise di avventurarsi lungo quella via semideserta. La prima forma di vita umana che i suoi occhi incontrarono fu un uomo sui settant’anni che stava portando in giro un cane trattenuto da un lungo guinzaglio.
    “A quest’ora?” si domandò Michel. “In questa città c’è qualcuno con abitudini normali?”
    Alzò gli occhi e vide un’insegna luminosa in lontananza, che recitava “Starlit Cafè”. Attirato da quell’imprevista visione si incamminò in quella direzione e con il cuore in gola si accorse che era aperto. Non aveva mai visto nulla di più soddisfacente, un bar aperto significava soltanto una cosa per lui: un bagno, quindi la possibilità di urinare e di eliminare quel senso di pesantezza provocato dai litri d’acqua che aveva bevuto nel corso della notte.
    Si avvicinò a passi rapidi, finché non fu alla sua portata la porta d’ingresso. La spalancò e improvvisamente una voce briosa esclamò, con una certa soddisfazione: «Buongiorno!»
    Era una ragazza che non doveva avere più di venticinque anni, con lunghi capelli ondulati di un bel castano dorato. Indossava un’uniforme dello stesso colore verde scuro dei tavoli.
    sui venticinque anni con lunghi capelli ondulati di un colore castano dorato, che portava un’uniforme dello stesso verde scuro dei tavoli.
    «Buongiorno a lei» la salutò Michel..
    «È il primo cliente della giornata» lo informò Kelly. «Che cosa desidera?»
    «Una bottiglia di acqua frizzante da un litro» rispose Michel, prontamente. Era l’unica cosa che avrebbe potuto consumare nelle ore successive. Indicò a Kelly la porta su cui una targhetta recava la scritta “Toilette”. «Io andrei in bagno.»
    La cameriera gli parve delusa.
    «Ma come? Non le interessano i cornetti appena sfornati? Credevo fosse qui per fare colazione.»
    «Mi spiace, ma non m’interessano.»
    Michel si sforzò di sorridere, cercando di non farle capire che più che di mangiare qualcosa avrebbe avuto voglia di vomitare... ma soprattutto di liberarsi la vescica.
    Si avviò verso il bagno, incredulo di fronte alla prospettiva di poter finalmente mettere fine a un’attesa che gli era sembrata interminabile. Aprì la porta con scritto “Toilette” – su una targhetta dello stesso verde dei tavoli e dell’uniforme della cameriera – e fu travolto da un piacevole odore di detersivo. Non aveva mai sentito il bagno di un luogo pubblico emanare un simile odore di pulito.
    Ne uscì meno di un minuto più tardi, con la cameriera che gli veniva incontro tenendo una bottiglia d’acqua nella mano sinistra.
    «Va bene a temperatura ambiente?»
    «Va benissimo.»
    Michel prese fuori il portafoglio dalla tasca dei jeans.
    «Quant’è?»
    «Offre la casa» rispose lei.
    «Ah... grazie.»
    La cameriera sorrise.
    «Mi chiamo Kelly. Kelly James.»
    Michel si trattenne a stento dal replicare: “Te l’ho per caso chiesto?”
    Si limitò a prendere la bottiglia e a borbottare: «Bel nome.»
    Ebbe subito l’impressione che fosse delusa.
    «E tu?»
    «Io che cosa?»
    Kelly sospirò.
    «Tu come ti chiami?»
    Michel si sforzò di ridere.
    «Non mi chiamo Kelly James, a differenza tua.»
    Fece per avviarsi verso l’uscita.
    «Dove credi di andare, biondino?» lo trattenne lei. «Non avrai intenzione di...»
    «Di uscire senza pagare?» la interruppe Michel. «Me l’hai detto tu.»
    «Non mi riferivo a quello. Quello stronzo del titolare del bar può anche fallire, per quanto mi riguarda.»
    Michel sorrise.
    «Parla piano: le pareti potrebbero sentirti.»
    Kelly ridacchiò.
    «E se anche fosse? È talmente evidente che il titolare è uno stronzo che non ci penserebbero neanche lontanamente ad andare a riferirgli che io parlo male di lui in sua assenza!»
    «Non ne sarei tanto convinto.» Michel le guardò dentro la scollatura. «Le pareti potrebbero invocarlo di licenziarti e assumere una ragazza che porta la quarta.»
    «Ti ho detto che non ti lascio andare via finché non mi hai detto come ti chiami» s’impuntò la cameriera. «A meno che tu non debba tenere segreta la tua identità, naturalmente.»
     
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