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Kevìn.
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Salve a tutti!
Quello che vi andrò a presentare è un mio lavoro fatto a Marzo 2013, è un libro breve che ho scritto in soli 13 giorni. "Così pochi?" direte voi...
Premetto innanzitutto che per me è stata una sfida, scrivere 96 pagine in 13 giorni mi sembrava un'assurdità, poi ho capito che era vero, è proprio un'assurdità. Dopo averlo completato e stampato, incartato e autoregalato, quando l'ho riletto ho visto che era pieno di errori (e forse ce ne sono ancora).
Ah, se vi starete chiedendo il perché dell'auto-regalo, ho "scelto" di scrivere questo libro proprio per farmi un regalo di compleanno, e sì, sono consapevole che il mio cervello non è del tutto funzionante.
Dopo un paio di mesi passati a correggerlo, sono pronto a presentarvelo e sono anche pronto alle critiche spietate, ciniche, distruttive...
Detto questo iniziamo!
Pubblicherò i 9 capitoli man mano, non voglio appesantirvi troppo.
Copertina:
Trama:
Leandro è un giovane adulto che ce l’ha con la vita e con il mondo. Egli è uno psicologo che ha sofferto molto per via di alcuni eventi che hanno scosso il suo passato. Dimora in una reggia solitaria (che egli paragona al suo cuore), quando non va al lavoro sta a casa, al buio, a leggere libri, sfogliare i dizionari, guardare la televisione, fare i cruciverba, scrivere, cucinare e fare tutte piccole cose che riescono a mandarlo avanti. Ma la sua rabbia verso il mondo non può portarlo alla gloria e nelle pagine di questo libro, attraverso dei paragoni con le cose che la vita ci presenta e attraverso il racconto della sua storia angosciante che procede incalzante, Leandro si focalizza sui suoi timori e ci sbatte in faccia tutti i suoi dubbi e tutte le sue mezze risposte e pretende che riflettiamo insieme a lui…
A tutti quelli che hanno paura della gente stupida,
io e Leandro siamo dalla vostra parte.
Introduzione
Perché tutto è un’allegoria
Il mio cuore è una reggia appariscente, meraviglioso certo ma allo stesso tempo tremendamente finto. È una casa curata solo all’esterno e il giardiniere si occupa solo di far crescere le piante il più possibile in modo che possano coprire l’interno della casa; le tende nella mia reggia sono polverose, spiragli di luce a volte in passato sono riusciti a penetrare nel mio salotto ed ho dovuto chiamare ripetutamente la sarta per accorrere ai ripari.
L’interno della mia casa è come un vampiro, ma di quelli antichi: quelli che spaventavano a morte e che la luce la temevano. E gli spiragli sono pericolosi e non posso permettere che mi si sciolgano i mobili, dentro di essi conservo pezzi delle mie vite passate. Giacciono incustoditi in attesa di essere presi in mano e di essere ri-cliccati con il tasto “replay”, e di tanto in tanto amo tuffarmi in quei pezzi. Si rovinano, purtroppo, nonostante alcuni segni siano indelebili.
Indelebili come le mie ferite e le cure per quelle non esistono, se non restare a casa a riflettere. A piangere come un bambino indifeso.
Vorrei star chiuso in casa tutto il giorno, però non è possibile, gli impegni sono troppi. Per fortuna ho il mio portone a tre chiavi, serro il mio cuore al mondo, per precauzione, per paura, forse.
E ripeto che la mia reggia non ammette ospiti, io sono il sovrano e lo sarò per sempre, sono avaro e tremendamente geloso dei miei averi: soprattutto di quelli che custodisco nel profondo.
Spero vi sia piaciuto, mi raccomando, siate schietti!. -
Melvin II.
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Ciao Kevin, mi sono piaciute molte le allegorie. Il personaggio e la storia mi sembrano interessanti. C'è qualcosa di autobiografico?
Buono l'inizio, aspetto il seguito!. -
Kevìn.
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Ciao Kevin, mi sono piaciute molte le allegorie. Il personaggio e la storia mi sembrano interessanti. C'è qualcosa di autobiografico?
Buono l'inizio, aspetto il seguito!
Ciao Melvin, grazie per l'attenzione
Rispondendo alla tua domanda, non c'è quasi nulla di autobiografico nonostante l'abbia scritto in un periodo triste in cui avevo bisogno di stare solo.. -
Ai Enma.
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Mi sembra un buon inizio per un libro!
Da ciò che ho capito il libro è una romanzo psicologico, aspetto la prossima parte!. -
Kevìn.
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Eccomi, scusatemi tanto l'assenza ma gli impegni mi hanno travolto!
Prossimo capitolo:
Lunedì
Il giorno della stanchezza
Mi sveglio ogni volta nel mio letto lussuoso nella mia stanza
lussuosa della mia reggia lussuosa.
Un grigio mattino si prospetta, anche se non lo posso osservare
dalle finestre, ma il mio sesto senso non mi ha mai ingannato. Sono
anni che nessuno ha più cercato di lanciare un attacco alla mia casa
ma nonostante ciò non ho mai smesso di nascondere i miei segreti,
le tende sempre più spesse, le luci sempre più spente, le piante
sempre più alte … Questo è il modo in cui passo ormai il mio tempo:
proteggere il mio cuore. Ed è importante proteggerlo, è ammalato e
ha bisogno di riposo, forse riposare in eterno gli darà un po’ di forza.
Alla fin fine però, se ci penso, proteggiamo tutti il nostro cuore in un
modo o nell’altro, chi per cause naturali o chi perché l’abbattersi
degli eventi sul fragile peso scatena un’enorme energia motrice e
distruttrice che può essere combattuta solo con la difesa. È un
concetto un po’ contorto ma se colto appieno può dare ottimi frutti,
questi sono tutti gli insegnamenti di mio nonno Aniceto.
Faccio colazione mentre mi sazio delle cose piccole della vita: faccio
una scorpacciata dei rumori sommessi degli orologi, dei ronzii delle
mosche, dell’odore dei fiori che ho posato ieri sera sul comò, della
sensazione del “giorno nuovo”, del sapore dello sfogliare i libri che
più mi piacciono. Di questo mi sazio quando sono nella mia reggia
poiché le riflessioni non bastano, quelle per me sono come un drink
o come un semplice snack.
Finita colazione, mi accorgo che è tardi, devo ripetere la mia lingua!
Apro il dizionario e lì ritrovo le persone. Perché?
Le persone per me sono come un dizionario, ognuno ha un
significato diverso e tutti servono a "tessere" il mio testo, a costruire
la mia vita.
Alcune persone sono sinonimi tra loro, appartengono a "gruppi
linguistici e semantici" uguali ma allo stesso tempo suscitano
allegorie diverse, toccano corde diverse.
Alcune persone sono addirittura "verbi", senza di loro il periodo non
ha senso...
Ma cosa dico? Queste filosofie appartengono alla mia vita passata,
quando come uno stupido spalancavo le finestre della reggia e
ululavo ai quattro venti quanto mi piaceva la vita.
Ci sono state persone, o meglio verbi, nella mia vita finché il loro
senso non l’hanno perso, sono arrivati alla scadenza. Stop. Finito. E’
andato a male. L’ho buttato.
Aprire il dizionario per me è importante perché tenersi a contatto
col mondo è necessario nonostante parecchie volte esso mi rifiuti,
inoltre col dizionario posso osservarlo da lontano di modo che il mio
cuore non venga sbattuto di nuovo contro il muro.
Ricordo ancora quei tempi in cui mi dicevano: «Vieni Leandro,
aggiungiti a noi, divertiti con noi, noi siamo i tuoi amici».
Amici? Si chiamano amici quelli che ti sbattono la porta in faccia
quando hai bisogno di loro?
Meglio consultare il dizionario, ma non quello delle persone bensì
quello d’italiano!
[a-mì-co]
Definizione e Significato:
Aggettivo, Sostantivo (Plurale Maschile -ci,Femminile -che)
· Aggettivo
· Che dimostra o denota solidarietà, affetto, disponibilità:
parole amico; favorevole, propizio: sorte amico
· Estensione, Militarmente, politicamente, culturalmente
affine Sinonimo: alleato: paese amico
· Sostantivo Maschile (Femminile -ca)
· Chi ha un rapporto di affetto e stima con qualcuno: un caro
amico; amico fraterno, intimo ‖ amico del cuore, l'amico
prediletto o, eufemisticamente, l'innamorato ‖ amici per la
pelle, molto uniti ‖ l'amico dell'uomo, il cane ‖ Figurativo,
amico del giaguaro, chi, senza volere, favorisce gli
avversari del proprio amico ‖ nel detto amici come prima,
per significare che dopo un contrasto non restano rancori
· Persona conosciuta che non si vuole nominare,
generalmente in contesti scherzosi o ironici: sentilo
l'amico!
· Per eufemismo, amante, innamorato: è la sua amica
· Chi ha un'inclinazione, chi prova interesse per qualcuno o
qualcosa
· Sinonimo: cultore, amante: un amico degli animali
· Diminutivo amichetto
· Accrescitivo amicone
Amichetto, amicone, che ha un rapporto di affetto e di stima,
alleato, affetto, disponibilità. Bello!
Gli amici sono proprio così?
Ma allora sono sicuro di averne avuti davvero? Tutti pronti a
chiedere, chiedere, chiedere, ricevere, ricevere, ricevere. Mai dare!
Assolutamente mai!
Mi sono appena alzato e già sono stanco, mi bruciano gli occhi e
troppe sono le lacrime già versate. È lunedì e la gente odia questo
giorno, io invece non tanto perché alla fin fine è uguale agli altri
stupidi giorni. Sono comunque esausto perciò torno a letto, mi
sveglierò dopo per il pranzo e poi vedrò di uscire.
Ritorno nella mia lussuosa stanza per andare un po’ a dormire,
prima però con un fazzoletto mi asciugo gli occhi.
I fazzoletti sono alcuni dei pochi oggetti che mi fanno venire la
tristezza, li usiamo tutti per asciugare il viso acquoso o per soffiarci il
naso quando siamo malati. Per sponsorizzare i fazzoletti, le
pubblicità dovrebbero favorire la depressione e i sentimenti
malinconici, già me le immagino: «Essere triste non è così brutto!
Piangere purifica gli occhi, con i nostri fazzoletti puoi asciugare le
lacrime e sentirti meglio!».
Quanto sono stupido. Accenno un piccolo sorriso idiota nel buio e
lentamente ricado nel sonno.
Quando mi risveglio è mezzogiorno, lo so solo grazie all’orologio
luminoso di fronte al mio letto. Pian piano mi alzo: devo uscire e
sono meno stanco adesso. Vado in cucina e mangio qualcosa. Poi
torno in camera e, nel buio, mi vesto. Dopo averlo fatto, corro alla
porta per lasciare la mia reggia.
È pericoloso uscire ma debbo farlo poiché il lavoro mi attende.
Ironia della sorte nel mio mestiere mi occupo di scavare nelle menti
altrui, cercando di trovare qualcosa di buono o di trasformare la
confusione in qualcosa di più ordinato. È sempre stato il mio sogno
fin da bambino.
Ma il mondo è infame e ti sputa in faccia senza che tu abbia fatto
nulla.
C’è un ragazzo però che ultimamente ha intenzione di diventare uno
spiraglio di luce, un verbo. Ed io non posso permetterlo! Non sono
disposto a consegnare ancora una volta i miei averi nelle fragili mani
di qualcuno, specialmente quelle di un ragazzino.
Da ragazzi si vive nei pregiudizi, nei primi amori, negli
sbaciucchiamenti e nelle lacrime amare e futili per i brutti voti. Non
c’è nulla di buono nei ragazzi, in particolare quelli di oggi: sono tutti
ingenui e stupidi. Sono ancora “articoli” nel mio dizionario, in attesa
di trovare il nome da accompagnare, per diventare poi il “soggetto”
o il “predicato verbale” di qualcuno, cioè di qualche “periodo”.
Accendo la macchina, allaccio la cintura e spingo il piede
sull’acceleratore per lasciare il garage della mia reggia. Mentre nella
mente cerco di ricordarmi se ho girato bene le chiavi di casa. In due
minuti varco il cancello e in venti arrivo al mio studio.
“Lo psicologo Finelli” annuncia l’insegna rotta e pendente. Metto le
mani in tasca per cercare le chiavi e al primo tentativo pesco quelle
di casa, poi delle monete e infine trovo quello che cerco. In fretta
apro il mio studio. Puzza. Sa di polvere. Fa semplicemente schifo.
Tutto fa schifo nella mia vita, dalle mie scarpe nere sino ad arrivare
ai miei ricordi più profondi.
Quante cavolo di volte il mio cuore è stato frantumato? Non
ricordo, cazzo. Ricorda Leandro. Ricorda Leandro. Poi ci arrivo: è
impossibile contarle le volte!
Sono arrivato giusto in tempo, perché dopo un paio di secondi entra
quel ragazzo di cui ho parlato prima. Il suo nome è Felice, come il
suo volto. Mi viene quasi voglia di urlargli contro: «Che cavolo sorridi
a fare? Il tuo cuore verrà distrutto parecchie volte quando crescerai,
sarai trattato come una pezza vecchia, il mondo è infame! E tu, che
sei solo un articolo non puoi farci nulla!».
Ma io non voglio rovinare la sua mente, devo aiutarlo. Anche se
nessuno merita di essere aiutato. Nessuno. Non dopo quello che la
gente è capace di fare.
«Buongiorno» dico cercando di essere gentile.
«Ciao» dice lui di rimando. Ragazzo scostumato: mi tratta come se
fossi suo fratello!
«Siedi!» gli ordino. «Stenditi!» mi correggo.
A lui scappa una risata. Insolente!
«Oggi mi parlerai solo di te, io prenderò appunti e di tanto in tanto
farò versi del tipo “ehm … ehm …” solo perché è un vizio. Non farci
caso grazie». I vizi. Altre cose inutili. Le acquistiamo quando siamo
adolescenti o addirittura nell’infanzia e ne trasciniamo il peso per
tutta la vita.
«Di cosa devo parlare?» chiede Felice emettendo un lieve sospiro.
Che stupido che sono!
E ora cosa gli dico? Veloce Leandro. Veloce Leandro.
«Hai sognato qualcosa stanotte?» sparo senza pensare. È strano che
sia proprio io a chiedergli di parlarmi dei suoi sogni quando io sono
il primo che non li fa (o meglio non ne faccio di nuovi), suona quasi
come se non fossi stato io a dirlo e non sembra proprio la mia voce.
Mi schiarisco la gola.
«Certo, ogni notte faccio dei sogni, il mio acchiappasogni cattura di
tutto: sogni belli, brutti, terribili, irreali …».
Come se glielo avessi chiesto. Che oggetto inutile, l’acchiappasogni,
gli indiani non sapevano proprio che inventarsi. Ha una rete per
catturare tutti i sogni e delle piume per scacciare via quelli che non
servono o sono troppo spaventosi. Che credulone che è questo
ragazzo.
«Ehm … Ehm …».
«Ero in una foresta e stavo scappando da qualcosa, forse un lupo,
non lo so … Ho corso parecchio perché respiravo come una donna
incinta».
Che razza di paragoni fa? Ma che idiota.
«A un certo punto gli alberi finiscono e in uno spazio circolare c’è un
laghetto, dove tre cavalli bianchi si abbeverano».
Cavalli bianchi. Unicorni. Povero illuso.
«Ehm … Ehm … Ehm …»
«Poi sento tra gli alberi delle risatine, era una bambina che rideva
ed io sapevo anche perché lo facevano ma ora me l’ho
dimenticato!»
Impara l’italiano, asino! Dovrei regalargli un libro di grammatica,
anzi no, io non faccio più regali.
«… Continua » dico vedendo che si è fermato a guardarmi, forse
dalla mia espressione è trapelato qualcosa. Non ci pensare Leandro.
Non ci pensare Leandro.
«Sì … Allora … Cioè, insomma … Quella bambina rideva, i cavalli
bevevano, ed io intanto cantavo. Già, mi ho scordato di dirti che
canticchiavo!».
La grammatica non è un optional, per lui forse sì, a quanto pare.
«A un certo punto ci esce un giovane di circa diciotto anni che mi
dice “Hai smesso di recitare la tua parte?”. Io non lo so cosa voleva
dire ma a me non mi piace il modo in cui l’ha detto».
“A me non mi piace”. Devo conoscere la sua professoressa
d’italiano. No, io non sopporto la gente e non voglio conoscere
nessuno. Che stupido che sono!
«Ehm … Ehm … » dico, ma lui non aggiunge nulla. Per due minuti il
silenzio regna.
«Che cosa significa secondo te questo sogno?» chiedo
mellifluamente tentando di riprendere il discorso. Sono
imbarazzato.
«Forse i tre cavalli erano la fortuna. Nel medioevo tre era la
perfezione. Fortuna perfetta!».
«Ma loro bevevano! Com’era l’acqua? Sporca o limpida?».
«Io non lo so, io non lo ricordo. Doveva essere buona però, i cavalli
si consolavano a bere, doveva avere un buon sapore perché i cavalli
non la smettevano più e i cavalli non si assetano spesso nei miei
sogni!».
«Può darsi che l’acqua sia un ottimo indizio per capire. Il giovane
diciottenne dove stava?».
«Oltre il laghetto, in fronte a me. Poco prima che la foresta
ricominciava».
«Era arrabbiato?».
«No, sogghignava.»
«Secondo te: la vita è un teatro? Perché lui ti ha chiesto “hai smesso
di recitare la tua parte?”, cosa potrebbe significare per te?» domando curioso.
«No. Ovvio che no. Chi mai lo penserebbe? Uno stupido?».
Adesso lo stupido sarei io? Beata ignoranza!
Felice, credi davvero che la gente che diventa un burattino nelle
mani del burattinaio appartenga alle bellezze della vita? Ti piacciono
le maschere eh? E se ti dimostrassi che gli inganni uccidono?
No, io non mi vendico con gli innocenti ma sopratutto non mi
vendico più. Sono stanco di questa vita, esausto di questo giorno.
Talvolta ci sono momenti in cui sentiamo un forte desiderio di
novità.
«Non lo so. Forse davvero viviamo in uno spettacolo, forse viviamo
di maschere … Decidi tu» gli dico per non complicare la situazione e
perché non sono in vena di spiegazioni.
«Leandro?» bisbiglia lui.
«Sì?» rispondo io «cosa c’è?».
«Hai mai avuto un brivido vedendo una tua compagna di classe? A
me mi sta succedendo, mi è successo proprio ieri …».
Oh mio Dio! Che disgrazia. Cambia argomento Leandro. Cambia
argomento Leandro. Mentigli, subito. Mentigli, ottuso.
«Sì, mi è successo»
«E cos’hai fatto?» insiste Felice. In poche parole mi sta chiedendo
dei consigli, come se fossi il suo mentore. Per tutti i cavoli, fammi
guardare l’orologio! Uffa, manca ancora mezz’ora alle quattordici e
la seduta non può finire qui. Cosa gli dico adesso?
«Hm … Sì, insomma … dopo un po’ ho preso coraggio e sono andato
a parlarle».
Devo riuscire a tenere in piedi questa messa in scena. Già questa è
una dimostrazione di vita-teatro. Forza Leandro. Forza Leandro.
«E cosa gli hai detto? Era bella?».
«Era stupenda. Le ho detto che mi piaceva e lei è rimasta a bocca
aperta. Poi conoscendola ha iniziato a legarsi a me e alla fine ci
siamo fidanzati». Speriamo che se la beva.
Forse in questa frase qualcosa di vero ci sta pure perché prima
avevo veramente allacciato delle persone al mio cuore e al tempo le
tende non le avevo.
«Wow» esclama felice Felice «e poi?».
«E poi abbiamo passato tanto tempo insieme, tanto, tantissimo. Poi
ci siamo lasciati e fine della storia! Adesso basta Felice, lo sai che mi
intimidisce parlare di me stesso».
«Ma io sono curioso» squittisce lui «voglio sapere Leandro!».
Ecco il motivo per cui questo marmocchio deve stare alla larga da
me, è troppo tenero e c’è il rischio che con la sua spontaneità
comprometta la salute del mio cuore. Devo essere distaccato. Devo
essere cattivo. Devo essere indesiderabile.
«Te ne parlerò la prossima volta, vieni dopodomani alle undici. Ok?»
stabilisco senza pensare, ci sono cascato, questo ragazzo mi metterà
in trappola e sarà la mia nuova rovina. Ne sono certo.
«Va bene» accetta lui con dolcezza. Poi si alza e mi viene ad
abbracciare. Lo odio, devo odiarlo per non amarlo.
«Ciao» lo congedo e prendo la mia borsa e le chiavi per andarmene
a casa. Per oggi mi basta così, due ore con Felice sono più che
sufficienti.
Esco dopo di lui, chiudo il mio studio puzzolente e mi dirigo alla
macchina.
In venti minuti sono di nuovo al sicuro nella mia amata reggia. Prima
di rintanarmi all’interno controllo la buca delle lettere, sto
aspettando notizie da mia sorella. Per oggi niente. Mi dirigo all’uscio
e in fretta apro le tre serrature.
«Miao» miagola quel cretino di Alicio, il gatto del giardiniere
Alessandro, lo tengo a scorazzare per la reggia perché un giorno
Alessandro mi trasse in inganno e mi fece accettare di tenerlo senza
volerlo. A proposito, non è ancora venuto a potarmi le siepi del
giardino e devo chiamarlo assolutamente poiché io lo pago e lui non
può permettersi di perder tempo. Mi precipito subito dentro,
sbattendo la porta.
«Pronto» dico al cellulare.
«Pronto, con chi parlo?» mi risponde il giardiniere.
«Con il conte Leandro Finelli, è pregato di venire al lavoro subito
altrimenti la licenzio e il suo gatto lo scaccio via».
«Ah, già … Beh, ora ho da fare».
«Lei sa a chi sta prendendo in giro? Venga subito, è un ordine».
«Senti conte cazzileandro da reggia di sto cavolo, io ho da fare e non
me devi rompe’ li coglioni. Cia’» grida lui e mi sbatte il telefono in
faccia. Che razza di maleducato, figlio di una buona donna, sono
anni che non mi guarda più in faccia ma fa il suo mestiere in silenzio
e adesso si permette pure di rispondere. Dovrei licenziarlo, ma lui è
troppo importante e lo sa perciò adesso tira la corda più del dovuto.
Sa che non ci sono giardinieri così riservati come lui e io ho bisogno
di persone riservate intorno a me.
«Vaffanculo» dico all’aria troppo arrabbiato per accorgermi che non
c’è nessuno con me. Sono anni che in casa non entra anima viva
oltre a me, sempre ammesso che io sia ancora vivo.
Il mio pomeriggio lo passo a guardare la televisione nel mio salotto,
in poche le ore trascorrono talmente noiose che rischio di
addormentarmi.
«Manca solo un mese alle elezioni politiche per la camera e il
senato» annuncia il telegiornale. Elezioni politiche. Politica. Non ho
mai visto cosa più sporca, inutile e falsa, anche la politica per me è
un teatro e dovrei ricordarmi di dirlo a Felice (magari riesco a
tramandare gli insegnamenti di mio nonno Aniceto). Cambio canale.
«E guardate, poi lo asciughiamo con un panno-carta e vedete che
scivola. L’acqua non ha possibilità di rimanere. Questo effetto qui
non lo avete normalmente. Provate a pensare cosa vuol dire questo
prodotto … ». Stupide televendite, ti vendono oggetti inutili per
scopi inutili, non hanno né capo né coda. Cambio canale.
«Ecco una dimostrazione di cosa avviene. Innanzitutto il sacchetto si
gonfia, poi si indurisce. Dopo otto minuti …». Documentario
stupido, alcuni sono pure belli, ma quelli che spiegano la
costruzione degli oggetti mi sembrano banali e altamente noiosi,
non vedo la gente cosa se ne possa fare nel sapere, ad esempio,
come si costruisce un telecomando, me lo compro e basta. Che
programma stupido. Cambio canale.
«Giochiamo a travestirci, Jack! Diventeremo degli astronauti rosa»
dice una voce infantile in un cartone palesemente doppiato male e
con le animazioni da schifo. Poveri bambini che devono sorbirsi
questa roba. Cambio canale.
« È un medicinale, può avere effetti indesiderati, prima dell’uso
consultate le istruzioni e le info sull’utilizzo» spiega tutto d’un fiato
una voce fuori campo nella pubblicità di un antidepressivo. Qui mi
vengono in mente i fazzoletti e mi scappa un sorrisino ebete.
Cambio canale e finalmente trovo qualcosa che mi piace: un film di
avventura. Inizio a guardarlo e già mi piace. Mi sono perso forse una
decina di minuti ma non importa, basta che lo vedo.
E dopo una mezzoretta cado nell’abisso del sonno.
Quando mi sveglio già è troppo tardi, sono le sette di sera cavolo, e
il film che mi piaceva è già finito da un bel pezzo!!!
Mi alzo e vado alla ricerca di qualcosa di buono da mangiare. Apro il
frigo e prendo gli ingredienti per farmi una frittata e un’insalata. In
silenzio (ovviamente) cucino e dopo mangio.
Poi come se avessi fatto una faticata tutto il giorno mi butto sul
letto e mi addormento aspettando un nuovo e malaugurato giorno.. -
Melvin II.
User deleted
Mi eì piacuto come descrivi il lunedi traumatico del protagonista.
Mi ricorda tanto il mio.
Dunque il protagonista fa lo psicologo annoiato?
Sono curioso di leggere come prosegue!.