Luce in frantumi

Drammatico

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    Zio Jasoooooon! :wub: Certo che potrebbe appunto chiudere la porta! XD
    In ogni caso l'aggiornamento è stato intenso e scorrevole, e mi fa venire una gran voglia di proseguire la lettura, quindi sbrigati a continuare! :P

    PS. Santiago era il famoso brasiliano di cui avevi parlato tempo fa e a cui non sapevi che nome mettere? :D
     
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 25/5/2013, 16:17) 
    Zio Jasoooooon! :wub: Certo che potrebbe appunto chiudere la porta! XD
    In ogni caso l'aggiornamento è stato intenso e scorrevole, e mi fa venire una gran voglia di proseguire la lettura, quindi sbrigati a continuare! :P

    PS. Santiago era il famoso brasiliano di cui avevi parlato tempo fa e a cui non sapevi che nome mettere? :D

    :woot: Grazieeeee.... continuo subitooooo!!!! :D

    Zio Jason è fatto così... ti ci dovrai abituare! :xD:

    ps: esattamente! Anche se poi ho scritto un racconto su Xavier Santana, magari qualche volta ve lo posto!
     
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    Anche se poi ho scritto un racconto su Xavier Santana, magari qualche volta ve lo posto!

    Sììììì! Posta pure! :woot:
     
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  4. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 25/5/2013, 16:32) 
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    Anche se poi ho scritto un racconto su Xavier Santana, magari qualche volta ve lo posto!

    Sììììì! Posta pure! :woot:

    Si, ma non sono sicura che piacerà... parla di calcio... :rolleyes:
     
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    ma non sono sicura che piacerà... parla di calcio...

    Tu non preoccuparti! :D
    E' sempre positivo per i lettori ampliare i propri orizzonti, anche in senso calcistico! XD
     
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  6. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 25/5/2013, 16:37) 
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    ma non sono sicura che piacerà... parla di calcio...

    Tu non preoccuparti! :D
    E' sempre positivo per i lettori ampliare i propri orizzonti, anche in senso calcistico! XD

    Io sono perplessa sotto questo punto di vista! :D
     
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  7. GÆBRIEL
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    Capitolo 3 parte 4

    Zio Jason riprese a parlare.
    “Ascoltami... non mi va di ripetere all'infinito cose che già sai. Ti dico solo questo: devi riuscire a prendere una decisione, anche se ti costerà molti sacrifici. Io ti aiuterò in questo, ma devi lasciarmelo fare! Se tu non ce la fai più, neanche io ce la faccio più a vederti ridurre in stati pietosi! Quindi, adesso mi sono rotto il cazzo, andrò io stesso a parlare con la tua famiglia!” era furioso.
    “No!” fu secca la mia risposta; nel frattempo asciugai le lacrime con la manica della mia giacca.
    Sapevo come sarebbe finita se zio Jason fosse andato dalla mia famiglia. Io ne avrei pagato care le conseguenze.
    “Non puoi farlo! E’ una cosa che devo fare io.” Gli dissi poco convinto. Sapevo di mentire ma non potevo assolutamente lasciarglielo fare.
    Per tutta risposta zio Jason si allontanò da me, alzò le mani in segno di resa e mi guardò con uno sguardo di chi la sapeva lunga.
    “Mi arrendo!” mi disse infine. “Però un’ultima cosa lasciamela dire: se ti trovo all'ospedale per un qualunque motivo, io ti giuro, che la faccio pagare a tutti molto cara. E poi non m’importerà più ciò che penserai...” concluse guardandomi dritto negli occhi.
    Io non seppi rispondergli, sapevo che zio Jason l’avrebbe fatto e non avrebbe chiesto più il permesso di niente, quindi non mi rimaneva che evitare di farmi del male anche per sbaglio.

    Quando tornai a casa in perfetto orario, mio padre non disse niente. Era strano che ancora non aveva trovato un motivo per picchiarmi, però ne ero grato.
    Ero passato nel suo studio per fargli vedere che ero tornato e lui era tutto preso da una serie di scartoffie, l’unica cosa che mi comandò fu: “Studia.”
    Non avevo intenzione di contraddirlo e così cercai di studiare; non riuscii però a concentrarmi, ero preso dal pensiero di Blaze e da quello che mi aveva detto zio Jason.
    Ero riuscito a farlo arrabbiare... ma non potevo farci nulla. L’unica cosa che mi promisi era quello di chiedergli scusa non appena l’avrei rivisto.
    A tutto ciò pensai e ripensai che aveva ragione, avrei dovuto parlare con Blaze e così, finalmente, decisi di fare.
    Chiesi a mia madre il permesso di poter utilizzare il telefono con la scusa di telefonare ad un compagno per i compiti a casa; mia madre me lo concesse e prendendo il numero dall'elenco telefonico, composi il numero della famiglia Jordan.
    Mi rispose forse una delle loro tante cameriere che avevano a disposizione, che mi passò Blaze; pensai di essere davvero fortunato quel giorno.
    Appena però lei rispose, rimasi senza parole. Risentire la sua voce mi provocò un tonfo al cuore. Dopo qualche secondo la salutai e dissi: “Sono Luce!”
    “Ah! Sei tu!” disse lei quasi dispiaciuta. “Che vuoi?” aggiunse.
    Io rimasi un po’ stupito da quella reazione, però non potevo staccare la conversazione così e non dirle niente.
    “Posso parlarti?” le chiesi speranzoso.
    “Dipende dall'argomento.” mi rispose calma.
    “Io e te. Cena.” Riuscii a dirle con fatica mangiandomi quasi le parole.
    “Allora non hai capito vero?” disse alterandosi un po’.
    Ero confuso ed esausto. Mi sedetti sulla sedia della scrivania lanciando indietro la testa. Guardai il soffitto in legno della mia camera pensando a cosa avrei dovuto capire.
    “Dovrei aver capito cosa?” chiesi sincero in fine.
    “Non mi hai visto stamani? Sto con Santiago e tu sei solo una perdita di tempo!”
    Ci rimasi male a quella risposta ma non riuscii a demordere. Non potevo, non adesso.
    “Si, ti ho visto... possiamo parlarne di presenza almeno?”
    “E va bene! Vediamoci alle diciannove alla scuola di musica.” Si arrese.
    “Ci sarò!” le dissi quasi contento.
    -Ma perché si diverte a giocare con il mio cuore?- mi ritrovai a pensare quando staccai la conversazione.
    Era fidanzata con Santiago, ora lo sapevo per certo e il che mi lasciava presupporre che non ci sarebbe stata nessuna cena e nessuna promessa mantenuta.

    L'ho scritto d'un fiato quindi se ci sono errori perdonatemi.
    E come al solito consigli ben accetti. :)
     
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    Luce si sta dando da fare. u.u Per il momento sono curiosa di scoprire come riuscirà ad andare all'appuntamento... nel senso, se non lo lasciano uscire, tranne in qualche rara occasione, o riuscirà a estorcere ancora una volta il permesso di farlo oppure dovrà uscire di nascosto o qualcosa del genere... attendo con ansia di vedere come si evolveranno le cose! :woot:
     
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  9. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 3/6/2013, 23:12) 
    Luce si sta dando da fare. u.u Per il momento sono curiosa di scoprire come riuscirà ad andare all'appuntamento... nel senso, se non lo lasciano uscire, tranne in qualche rara occasione, o riuscirà a estorcere ancora una volta il permesso di farlo oppure dovrà uscire di nascosto o qualcosa del genere... attendo con ansia di vedere come si evolveranno le cose! :woot:

    Spero di poter aggiornare entro domani! :D
     
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    Spero di poter aggiornare entro domani!

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  11. GÆBRIEL
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    Capitolo 3

    Entrai a casa chiudendo la porta alle mie spalle. Restai immobile appoggiato per qualche secondo sorridendo tra me e me.
    Blaze, la donna dei miei sogni, mi aveva fatto una promessa e io stentavo a crederci. Mi trovavo forse in un sogno... era troppo bello per essere vero. Finalmente qualcosa di incredibilmente felice capitava a me... a me, che fino a qualche ora fa volevo farla finita una volta per tutte.
    Chiusi gli occhi godendomi l’attimo, ma li aprii all’improvviso sentendo la guancia che bruciava. Alzai lo sguardo, mio padre dinanzi me mi aveva appena dato uno schiaffo.
    Non feci nemmeno in tempo di cercare di capire cosa stesse succedendo che mio padre si scaraventò su me, continuando ripetutamente a darmi calci e pugni anche sul viso.
    Non si fermò anche quando cercai di chiedergli il perché e mi rassegnai come sempre; non ci doveva essere un motivo per essere picchiato da mio padre.
    Mentre mio padre continuava a picchiarmi, mio fratello Nathan spuntò dalla porta della cucina che dava all’ingresso. Aveva un sorriso beffardo disegnato sul volto. All’improvviso capii. Era per lui che le stavo prendendo di santa ragione. Non gli avevo preparato la cena e lui, ovviamente, l’aveva detto a mio padre che adesso stava dandomi la sua punizione.
    Perché la felicità dura solo un attimo? Fino a qualche momento fa avrei voluto vivere solo per mantenere una promessa, ma adesso tutto mi stava crollando addosso di nuovo. Perché? Per una stupida cena? Pensandoci bene le prendevo sempre per cose stupide e banali e rare volte mi erano concesse risposte, per il resto dovevo darmele da solo, anche se il più delle volte, non riuscivo a comprendere.
    Sentivo la testa scoppiare e il corpo bruciare. Fu in quell’attimo che capii che mio padre aveva finito, sicuramente anche lui si era stancato. Chiusi gli occhi, ormai sfinito, mi accasciai a terra.
    Quando riaprii gli occhi, sentii mia madre lavare i piatti. Ero svenuto, ma nessuno accorse, ma naturalmente anche questa non era una novità. A fatica mi tirai su, il mio stomaco brontolava, avrei dovuto buttarci giù qualcosa, ma chiedere a mia madre cosa fosse rimasto da mangiare sarebbe stato un suicidio, quindi rinunciai. Andai in camera mia, affamato e sanguinante, e mi buttai sul letto. Non mi andava di sentire più niente, neanche il rumore delle mie lacrime ormai finite.
    Se non fosse stato per Blaze e la sua promessa sarei andato in bagno, avrei preso una di quelle lamette che mia madre usa per togliere i calli dai piedi e mi sarei tagliato le vene senza pensarci troppo. Effettivamente era un piano che avrebbe anche funzionato bene, ci pensai, e lo conservai da qualche parte nel cervello. D’altronde meglio averceli piani del genere, soprattutto se si parla della mia vita.
    Sentivo il flusso dei pensieri scorrere veloci, come la pellicola di un film riprodotta in velocità avanzata, e un po’ per le ferite, un po’ perché ero davvero esausto, mi addormentai.

    Quando mi svegliai la mattina seguente, mi sentii come se avessi preso una sbronza colossale e adesso ne stessi pagando le conseguenze. Guardai la sveglia. Erano le cinque del mattino e io ero ancora con i vestiti fracidi di sangue della sera prima. Decisi che era meglio fare una doccia anche per lavar via i pensieri e così feci. Mi vestii e mi guardai un attimo allo specchio. Forse era meglio che evitavo quel gesto. Mi accorsi che la mia faccia era deturpata da dei lividi violacei. Di certo non potevo andare a scuola conciato in quel modo; mi avrebbero fatto delle domande e a me sarebbe toccato mentire, come quando ero bambino e dicevo che ero caduto dalla bicicletta o che mi ero preso una pallonata giocando a calcio e altre scuse così.
    Ma stavolta che scusa avrei dovuto inventarmi? Più che altro avrei dovuto mascherare quei lividi.
    Corsi in bagno in cerca della trousse di mia madre. Ci trovai il fondotinta coprente che lei usava spesso per mascherare i segni della sua età, e provai a passarlo sulla mia pelle.
    Effettivamente funzionava, meglio per me. Appena finii lo risistemai nella trousse con su disegnato Marylin Monroe e mi riguardai allo specchio. Ero afflitto e sentivo bussare il piano che aveva preso forma nel mio cervello e che avevo conservato, ma lo ricacciai indietro. Oggi dovevo vedere Blaze, solo questo importava per me.
    Quando riandai nella mia stanza, guardai l’orologio che segnava le sei e un quarto. A breve la sveglia di mio padre sarebbe trillata e io non volevo farmi vedere girare per casa, ma dovevo mangiare o altrimenti sarei di nuovo svenuto; quindi mi diressi verso la cucina in cerca di qualche cibo.
    Appena accesi la luce rimasi impietrito. Mia madre seduta su di una sedia con le braccia appoggiate sul tavolo. Aveva gli occhi appannati dalle lacrime ed era come immobilizzata a guardare la stessa direzione.
    “Mamma?” la chiamai quasi sottovoce.
    Lei si girò verso di me e mi fissò. Piangeva a dirotto e non seppe dirmi nulla.
    Se mi fossi trovato in un’altra famiglia, sarei corso da lei a consolarla e a farmi dire quale fosse il problema. Ma io non avevo il coraggio di avvicinarmi a lei. Va bene che ero suo figlio, ma lei non aveva mai dimostrato di essere mia madre. Se non fosse per lo stato di famiglia che attestava che ero figlio loro avrei detto che questi non erano i miei genitori.
    Comunque provai a essere gentile con lei. “Stai bene?” chiesi solamente e restai immobile all’ingresso.
    Per tutta risposta lei si coprì il viso con le mani e pianse di più.
    Io non sapevo come comportarmi, che dire, e rimasi a fissarla dimenticandomi completamente per quale motivo mi trovassi in cucina.
    Dal piano superiore si sentì trillare la sveglia di mio padre. In poco tempo sarebbe sceso per farsi un caffè.
    Mi guardai attorno e mi sedetti accanto a lei. Provavo pena per lei e non avrei saputo dire nemmeno il perché. Volevo fare qualcosa di buono per lei ma ogni mio tentativo risultava vano. La fissai ancora per un po’ e poi decisi che era meglio togliere il disturbo, tanto non le ero d’aiuto. Feci per alzarmi ma lei prese la mia mano, come per dirmi che non dovevo andarmene. Il tocco con lei mi risultò strano, non lo saprei descrivere, mi fece sussultare.
    Lei mi guardò con gli occhi pieni di lacrime e accennò un sorriso. Dal mio canto io non riuscii a ricambiare quel sorriso e allontanai lo sguardo da lei.
    “Non preoccuparti.” Disse finalmente e mi rivoltai verso di lei un po’ stupito. “Sto bene, è stato solo un momento di debolezza.”
    Io rimasi a fissarla, poi lei si alzò si avvicinò, mi diede un bacio sulla guancia dove c’era uno dei lividi e uscì dalla stanza.
    Io ero impietrito. Non me lo sarei mai aspettato da lei. Istintivamente la mia mano si poggiò dove lei mi aveva baciato e una strana sensazione s’impadronì di me.

    Mia madre non mi aveva mai toccato neanche per sbaglio e adesso mi aveva dato un bacio. Ero confuso. Forse anche quello si trattava di una debolezza, o altrimenti, l’unica cosa che mi venne in mente, era che lei stesse bleffando sadicamente in un gioco che conosceva bene ma di cui ero completamente all’oscuro; e se era davvero così l’unico a rimetterci ero io.
    Mi dissi che era meglio non pensarci troppo, così mi alzai e mi diressi verso il frigorifero, presi il latte, lo versai in una tazza e ci buttai giù una manciata di cereali che avevo preso dalla credenza. Finii di mangiare in fretta e mi diressi verso la mia stanza.
    Incrociai mio padre nelle scale, mi fulminò con lo sguardo ma mi lasciò passare. Appena entrato nella mia stanza presi il cellulare che mi aveva regalato zio Jason, deciso a telefonargli.

    “Pronto.” Sentì dall’altro capo del telefono.
    “Zio Jason sono io, Luce!”
    “Luce?” Sbadigliò e seguì un silenzio. “Ma ti sembra questo il momento di chiamarmi? Cazzo è praticamente l’alba!” urlò.
    Sicuramente aveva guardato la sveglia. Pensai che avevo appena fatto una sciocchezza. Persone come zio Jason non riuscivano a connettere prima di mezzogiorno, e chiamarlo a quell’ora equivaleva a un dispetto da lavare con il sangue.
    “Non provare a riagganciare!” dissi quasi urlando.
    “Non urlare così! O altrimenti sarò di malumore per tutto il giorno! Uffa!” disse adirato. “Ti ascolto... che succede?” Si calmò.
    “Penso che potrai dire addio alla tua tanto amata Lamborghini, sai?” gli annunciai soddisfatto sorridendo.
    “E mi chiami all’alba per dirmi questo? Porca trota Luce! A me sembrava che fosse successo qualcosa di grave.” Disse irritato.
    “E’ successo anche quello... ma non mi va di parlarne.” Cercai di deviare il discorso.
    “A te non va mai di parlarne! Luce, le cose le devi affrontare non subire! Te l’ho detto migliaia di volte. Ti stai costringendo a vivere una vita a metà e non lo meriti. Vivi sotto lo stesso tetto di persone pazze isteriche che non fanno altro che torturarti nei peggiori modi possibili; ti costringi ad andare ad una scuola che non vuoi frequentare sapendo che il tuo sogno, che ormai hai deciso di rinchiudere e di non lasciare uscire, è un altro. Tu lo sai, io ti voglio bene, ma il fatto di essere sempre vittima non aiuta. Devi tirare fuori le unghie, tigre. Dovresti mandare tutti a fanculo e inseguire i tuoi sogni. Questo devi fare! E se qualcuno prova a impedirtelo lo devi distruggere, non farti distruggere. Luce, io ci sono per te e qualora tu decidessi di andartene da quella casa, puoi venire da me, lo sai.” Concluse.
    Rimasi gelato dalle sue parole e anche le lacrime avevano ritrovato il loro percorso. Zio Jason aveva ragione, ma io non avevo questo coraggio.
    “Luce” Riprese a parlare. “Io so che per te è difficile. Ma devi iniziare a fare piccoli passi per uscirne. Io ti aiuto, ma tu devi metterci del tuo, mi hai capito? Devi provarci almeno; cerca di affrontare gli ostacoli che ogni giorno la vita ti mette davanti. Affila gli artigli e fa vedere a tutti chi sei!”
    Lui mi voleva davvero bene, lo si comprendeva dalle sue parole. “Si.” Dissi asciugandomi le lacrime con la manica della giacca.
    “Ok, comincia già da oggi... E ora possiamo parlare della Lamborghini. Che è sta storia?” disse interessato.
    Mi ricomposi e trovato di nuovo la mia tranquillità dopo le sue parole gli risposi: “La storia della tua Lamborghini persa!”
    “No, no... aspetta! Vuoi dirmi che hai conquistato Blaze?” Stavolta il confuso era lui.
    “No, io ho detto preparati a perderla, non che l’hai persa! Attenzione alle mie parole zio!” dissi beffardo.
    “Ok, comunque sta storia devi raccontarmela! Sono curioso...” disse quasi sottovoce.
    “Ho incontrato Blaze dopo che sono uscito da casa tua ieri... le ho parlato e non mi ha rifiutato! Anzi! Abbiamo una cena in sospeso!” Gli rivelai.
    Dall’altro capo del telefono non si sentì più nulla.
    “Zio? Zio Jason?” cominciai a chiamarlo. Nulla, non udii più nulla. Pensai che fosse caduta la linea ma provai lo stesso a chiamarlo più forte.
    “Si, si, pronto, chi è?” mi urlò.
    “Zio mi senti? E’ da qualche minuto che parliamo al telefono e tu ti riaddormenti mentre parlo?” Pensai a zio Jason addormentato con il telefono appoggiato all'orecchio e mi venne da ridere.
    “C’ho sonno! Possiamo parlarne più tardi? Per favore...” E staccò la chiamata.
    Scossi la testa -Sto tizio è troppo strano- pensai tra me e me. Però gli volevo un bene dell’anima; almeno era l’unico che non rideva delle mie ferite, anzi cercava di tirarmi fuori da quell’incubo perenne.

    Arrivai a scuola con largo anticipo, volevo riuscire a parlare con Blaze, anche se non mi facevo troppe illusioni. Quando era a scuola, lei era Blaze Jordan, quella che non poteva permettersi errori.
    Mi sedetti sugli scalini dell’entrata deciso ad aspettarla. Nel frattempo vidi arrivare Santiago, un compagno di classe di mio fratello, con una Bmw cabrio nuova di zecca.
    Si vantava con gli amici della sua auto ma il mio sguardo si posò in qualcosa di ben più interessante. La ragazza che riusciva a comandare i battiti del mio cuore. Mi alzai per farle incontro, sorridendo, ma lei non si curò della mia presenza, andò dritto da Santiago e lo baciò avidamente.
    Guardai la scena perplesso; non riuscivo a comprendere. Mi dissi se quello che fosse successo ieri non fosse stato solo un sogno. Ero amareggiato, deluso e non riuscii a capire. Li guardai ancora un po’ e vedendoli entrambi felici, decisi di andare dritto in aula ad ascoltare una lezione che non mi interessava.
    Passai l’intera mattinata a non riuscire a smettere di pensare ciò che avevo visto. Lei si stava burlando di me. Probabilmente anche la promessa della cena era una finta. Mi avrebbe dato un appuntamento e io l’avrei aspettata tutta la sera, e magari lei, nel frattempo, rideva con gli amici di me.
    Pensare a questo mi fece ancor più male; in confronto le parole che mi aveva detto alla festa erano miele.

    Quando tornai a casa, dopo la scuola, avrei voluto tanto dar vita a quel piano che avevo custodito da qualche parte nella mente, ma mia madre mi richiamò alla realtà; voleva che la aiutassi con il pranzo e così feci.
    Entrambi evitammo di guardarci e di parlarci, d’altronde io non avevo nulla da dire, non in quel momento, almeno.
    Il pranzo fortunatamente per me si risolse senza il mio sangue sparso per casa e io ne fui grato. Aiutai nuovamente mia madre con le pulizie e chiesi per la prima volta nella mia vita, a mio padre di uscire. Non sapevo la reazione che avrebbe avuto, ma sembrava di buon umore.
    “Papà!” lo chiamai distogliendolo dal Tg.
    “Che c’è?” sbuffò lui.
    “Vorrei uscire per prendere una boccata d’aria, posso?” gli chiesi nel modo più gentile possibile.
    “Perché non studi invece di perdere tempo?” iniziò a scaldarsi e io ebbi un po’ paura.
    “Domani è domenica, studierò quando torno e anche domani, promesso! Ho bisogno di uscire un po’!” lo pregai perché ne avevo davvero bisogno. In realtà volevo andare da zio Jason.
    “Ok, ma tra un ora devi essere qui! Non un minuto di più!” disse con un tono che non ammetteva repliche. Dal canto mio lo ringraziai, presi la giacca e uscii.

    “Zio Jason! Sono Luce!” mi annunciai entrando a casa sua.
    Mi feci strada verso la cucina osservandomi intorno, ma lui non c’era.
    Lo richiamai svariate volte, sino a che non sentii dei rumori provenire dalla camera da letto.
    -Possibile che stesse ancora dormendo?- mi chiesi e così decisi di andare a vedere.
    Stavo quasi per aprire la porta quando mi trovai davanti una donna coperta solo dal lenzuolo nero che aveva tirato via dal letto.
    Istintivamente venne da coprirmi il viso con le mani e urlai imbarazzato a Jason: “Maledizione zio! Potresti avere almeno l’accortezza di chiudere quella maledettissima porta quando hai il bel daffare?”
    La ragazza nel frattempo filò dritta in bagno mentre zio Jason si stava rivestendo. Io tolsi le mani dal viso.
    “Hai ragione, ma sai com’è no?” cercò di divincolarsi sorridendo.
    “Ok, ok! Dovrei parlarti e ho meno di un ora.” Cercai di dirgli veloce.
    “Vieni.” Mi disse e lo seguii in salotto.
    Ci accomodammo nel suo divano rosso Ferrari e fu lui a rompere il silenzio.
    “Che succede? Ti vedo strano... stamattina eri più allegro.” Era preoccupato.
    “Lei è fidanzata.” Dissi tutto d’un fiato scrollando le spalle.
    “E perché non dovrebbe esserlo? E’ una bella ragazza dopotutto!” cercò di alleggerire il discorso sistemandosi comodo sul divano.
    “Allora perché mi ha fatto una promessa che non può mantenere. Sarò anche paranoico, ma lei voleva burlarsi di me per ridere in compagnia, ne sono quasi sicuro!” Esclamai, non rendendomi conto di quanto fossi davvero penoso.
    “Luce, sei patetico sai! Invece di parlare con me, dovresti parlare con lei. Da lei le risposte, non da me! Hai fatto un errore di valutazione.” Mi disse tranquillo.
    “Non voglio parlare con lei.” Scossi la testa.
    “Tu mi farai perdere la pazienza un giorno di questi, sai? Diamine! Nemmeno un bambino si comporterebbe così! Se vuoi le risposte devi parlare con lei.” Si spazientii.
    “Non è tutto comunque...” dissi cercando di mantenere la calma.
    “Tuo padre?” cercò di indovinare lui.
    Scossi la testa. “Jason...” le parole mi morirono in bocca e le lacrime iniziarono a rigare il mio volto. “Io non credo di farcela se lei, l’unico motivo per cui il mio cuore ancora batte, negherà la sua vita insieme a me... c’è un pensiero che sta prendendo sempre più piede in me...” fui sincero.
    “Qualunque sia quel pensiero toglilo subito dalla tua mente!” si infuriò captando quel pensiero.
    Scossi nuovamente la testa. Gli occhi appannati dalle lacrime. “Non ce la faccio più!” dissi solamente; usai le mani per coprirmi il viso e poi caddi nello sconforto più totale.
    Zio Jason venne in mio aiuto, mi abbracciò forte e poi guardandomi dritto negli occhi mi disse: “Luce! Mi fa male vederti così! Devi dirmi cosa ti da dolore... Blaze, la tua famiglia, sembrano, allora, solo scuse. Dentro di te c’è qualcosa che non riesco tutt’ora a comprendere; vorrei capirti, davvero, ma tu ti stai chiudendo sempre più in te stesso... mi fai paura.”
    Per tutta risposta mi aggrappai a lui con tutte le mie forze. Non riuscivo a dirgli cosa c’era che non andava. Tutto non andava, era questo il problema. La mia vita era tutto uno sbaglio e io non resistevo più.
    Zio Jason riprese a parlare.
    “Ascoltami... non mi va di ripetere all’infinito cose che già sai. Ti dico solo questo: devi riuscire a prendere una decisione, anche se ti costerà molti sacrifici. Io ti aiuterò in questo, ma devi lasciarmelo fare! Se tu non ce la fai più, neanche io ce la faccio più a vederti ridurre in stati pietosi! Quindi, adesso mi sono rotto il cazzo, andrò io stesso a parlare con la tua famiglia!” era furioso.
    “No!” fu secca la mia risposta; nel frattempo asciugai le lacrime con la manica della mia giacca.
    Sapevo come sarebbe finita se zio Jason fosse andato dalla mia famiglia. Io ne avrei pagato care le conseguenze.
    “Non puoi farlo! E’ una cosa che devo fare io.” Gli dissi poco convinto. Sapevo di mentire ma non potevo assolutamente lasciarglielo fare.
    Per tutta risposta zio Jason si allontanò da me, alzò le mani in segno di resa e mi guardò con uno sguardo di chi la sapeva lunga.
    “Mi arrendo!” mi disse infine. “Però un’ultima cosa lasciamela dire: se ti trovo all’ospedale per un qualunque motivo, io ti giuro, che la faccio pagare a tutti molto cara. E poi non m’importerà più ciò che penserai...” concluse guardandomi dritto negli occhi.
    Io non seppi rispondergli, sapevo che zio Jason l’avrebbe fatto e non avrebbe chiesto più il permesso di niente, quindi non mi rimaneva che evitare di farmi del male anche per sbaglio.

    Quando tornai a casa in perfetto orario, mio padre non disse niente. Era strano che ancora non aveva trovato un motivo per picchiarmi, però ne ero grato.
    Ero passato nel suo studio per fargli vedere che ero tornato e lui era tutto preso da una serie di scartoffie, l’unica cosa che mi comandò fu: “Studia.”
    Non avevo intenzione di contraddirlo e così cercai di studiare; non riuscii però a concentrarmi, ero preso dal pensiero di Blaze e da quello che mi aveva detto zio Jason.
    Ero riuscito a farlo arrabbiare... ma non potevo farci nulla. L’unica cosa che mi promisi era quella di chiedergli scusa non appena l’avrei rivisto.
    A tutto ciò pensai e ripensai che aveva ragione, avrei dovuto parlare con Blaze e così, finalmente, decisi di fare.
    Chiesi a mia madre il permesso di poter utilizzare il telefono con la scusa di telefonare ad un compagno per i compiti a casa; mia madre me lo concesse e prendendo il numero dall’elenco telefonico, composi il numero della famiglia Jordan.
    Mi rispose forse una delle loro tante cameriere che avevano a disposizione, che mi passò Blaze; pensai di essere davvero fortunato quel giorno.
    Appena però lei rispose, rimasi senza parole. Risentire la sua voce mi provocò un tonfo al cuore. Dopo qualche secondo la salutai e dissi: “Sono Luce!”
    “Ah! Sei tu!” disse lei quasi dispiaciuta. “Che vuoi?” aggiunse.
    Io rimasi un po’ stupito da quella reazione, però non potevo staccare la conversazione così e non dirle niente.
    “Posso parlarti?” le chiesi speranzoso.
    “Dipende dall’argomento.” mi rispose calma.
    “Io e te. Cena.” Riuscii a dirle con fatica, mangiandomi quasi le parole.
    “Allora non hai capito vero?” disse alterandosi un po’.
    Ero confuso ed esausto. Mi sedetti sulla sedia della scrivania lanciando indietro la testa. Guardai il soffitto in legno della mia camera pensando a cosa avrei dovuto capire.
    “Dovrei aver capito cosa?” chiesi sincero in fine.
    “Non mi hai visto stamani? Sto con Santiago e tu sei solo una perdita di tempo!”
    Ci rimasi male a quella risposta ma non riuscii a demordere. Non potevo, non adesso.
    “Si, ti ho visto... possiamo parlarne di presenza almeno?”
    “E va bene! Vediamoci alle diciannove alla scuola di musica.” Si arrese.
    “Ci sarò!” le dissi quasi contento.
    -Ma perché si diverte a giocare con il mio cuore?- mi ritrovai a pensare quando staccai la conversazione.
    Era fidanzata con Santiago, ora lo sapevo per certo e il che mi lasciava presupporre che non ci sarebbe stata nessuna cena e nessuna promessa mantenuta.

    Mi buttai letteralmente di peso sul letto pensando a come avrei fatto ad uscire per andare a parlare con Blaze. All'appuntamento mancavano due ore circa e io dovevo escogitare qualunque cosa per riuscire ad evadere.
    Pensai e ripensai. Chiedere nuovamente a mio padre di uscire non se ne parlava minimamente, quindi non mi rimaneva che fuggire di nascosto, saltando dalla finestra della mia camera.
    Sapevo però che, se i miei se ne sarebbero accorti, per me era la fine, ma non potevo assolutamente perdere questa occasione di parlare con Blaze, quindi, mi dissi che la scelta di saltare dalla finestra era la più plausibile per scappare da quella casa-prigione.
    Le due ore passarono più in fretta di quanto mi aspettassi, fortunatamente. Di studiare non se ne parlò neanche alla lontana, passai invece tutto il tempo ad ascoltare musica e decidere cosa indossare, e alla fine optai per un paio di jeans neri, una maglia grigia e considerando che fuori faceva freddo, misi anche una giacca nera. Mi guardai allo specchio di sfuggita, e mi resi conto di quanto quell'immagine riflessa era lontana anni luce da me, dovevo abituarmi prima o poi.
    Quando capii che ero pronto per andare, sistemai dei cuscini dentro il letto, come quei ragazzi, che nei film, fanno quando scappano di casa ed io lo stavo facendo sul serio.
    Avevo il cuore a mille, e prima di fuggire davvero, controllai che tutti fossero al piano di sotto, sbirciando dalla porta socchiusa della mia camera. Quando mi rassicurai, aprii la finestra e mi calai giù dall'albero che, per buona sorte, era a lato della finestra della mia camera.
    Restai sorpreso di me stesso quando arrivai giù senza essere caduto con il sedere per terra.
    Guardai ancora per un attimo la finestra del salotto dove c’erano i miei e presa la decisione corsi senza mai fermarmi fino alla scuola di musica.

    Quando arrivai misi le mani sopra le ginocchia per riuscire a riprendere fiato. Esaminai l’orologio. Erano le diciannove meno cinque minuti. A momenti l’avrei vista e le avrei parlato.
    La aspettai appoggiato al pilastro di marmo di Carrara che faceva da cornice all'entrata della scuola di musica.
    Non c’avevo fatto caso, la scuola di musica era dedicata a Niccolò Paganini, il celebre violinista. Il migliore di tutte le epoche, almeno secondo me.
    Nell'insegna c’era una sua immagine con il suo violino, lo Stradivari. Rimasi affascinato da quella immagine. E ripensai al mio sogno. Quello che zio Jason, invece, mi esortava a seguire.
    Ero totalmente catturato dai miei pensieri e restai immobile finché non mi accorsi che una mano schioccò le sue dita in fronte al mio viso. Quando mi ricomposi vidi davanti a me Blaze, più bella che mai.
    “Ehi!” catturò totalmente la mia attenzione. “Non ho tempo da perdere, quindi dimmi quello che hai da dirmi e facciamola finita!” disse irritata.
    “Scusa.” Mormorai in un sussurro. “Ti ruberò solo pochi minuti!” le promisi.
    “Lo spero!” disse lanciandomi un’occhiataccia.
    Cercai le parole giuste che avrei potuto dirle, non potevo farla arrabbiare.
    “Volevo solo chiederti della promessa della cena. Non so tu, ma io le promesse sono abituato a mantenerle!” le dissi d’un fiato.
    “So che te l’avevo promesso, ma non posso più mantenere tale promessa. Te l’ho detto, sono fidanzata con Santiago e tu sei solo una perdita di tempo!” mi spiegò.
    “Quindi dovrei mantenere il tuo segreto rinunciando alla mia condizione?” le chiesi cercando di rimanere calmo.
    “Se puoi, sì. Altrimenti me ne farò una ragione, pazienza!” rispose semplicemente.
    “D’accordo. Nessuno verrà a sapere del tuo segreto. Te lo prometto.”
    Sapevo che le stavo dicendo addio in un certo senso. Ma dire a tutti del suo segreto non avrebbe giovato a lei. Io volevo la sua felicità, quindi rinunciai alla mia condizione.
    “Grazie.” Mi disse regalandomi un sorriso.
    Stetti ad osservare quel suo sorriso fantastico, e guardandola decisi di parlarle sinceramente.
    “Blaze.” La chiamai.
    “Si.” Rispose guardandomi.
    “C’è un’ultima cosa che devi sapere.” Dissi cercando di sembrare tranquillo ma dentro mi tremava il cuore.
    Lei mi guardò e io mi dichiarai. “Blaze, ascoltami bene, perché non credo di riuscire a ripeterti ciò che sto per dire, anche se, non esistono parole al mondo che dicano al massimo quello che voglia realmente dirti. Io sono caduto nell'inganno di amare chi non si deve, chi non si può, chi non potrà mai ricambiarti; lo so che io non sono capace regalarti niente di speciale, ma avrei dato e darei la mia stessa vita per te e per la tua felicità, perché, io lo so, tu meriti di essere felice. E lo so che per te è difficoltoso credermi, ma stare male non serve a nulla, e io non sono in grado di stare meglio di come sto adesso. Io fingo con tutti, faccio la parte di chi sta bene, ma è difficile... e non l’ho scelto io tutto questo! Lo so, sono una vigliacco, ma la paura di perderti è tanta. Blaze, io, voglio che tu capisca che io non sono semplicemente innamorato del tuo corpo o di come appari, bensì di come sei dentro, di come sorridi... e anche se non ci sentiamo, non ci vediamo, nessuno sa quello che provo e nessuno lo saprà mai e forse nemmeno tu. Ti amo, Blaze, ma forse, l’avevi già capito. Avrei voglia di urlartelo ma non so a quanto serva.
    Ti perderò Blaze, ancora una volta, ma vedrai, esisterà un'altra persona, migliore di me, sicuramente, capace di esprimerti ciò che pensa, che ti starà vicino per sempre, ma, sappilo, Blaze, mai nessuno potrà cancellarti dal mio stupido cuore vigliacco.”
    Le lacrime scendevano nuovamente dal mio viso senza che potessi comandarle. Le avevo detto tutto. Mi ero dichiarato a lei. Ora lo sapeva quali sentimenti provavo per lei.
    Blaze mi guardò commossa. La sua mano sfiorò le mie lacrime e per la prima volta nella mia vita mi resi conto di sentirmi realmente compreso; appoggiai il mio viso alla sua mano che riusciva a consolarmi. Per un attimo fu tutto splendido, sino a che non sentii un pugno in pieno viso.
    Pensai fosse mio padre che non avendomi trovato nella mia stanza era venuto a cercarmi, ma quando aprii gli occhi compresi subito che non si trattava di mio padre, ma di Santiago che teneva stretta a se, Blaze con una mano.
    Mi sputò addosso e mi disse: “Prova ad avvicinarti ancora a lei e te la faccio pagare molto cara!”
    Era furibondo ma non sapevo rispondergli. In un attimo attorno a noi ci fu una folla di gente che si divertiva a guardare la scena.
    “Te lo giuro, avvicinati a lei anche per sbaglio e mi vendicherò nel peggior modo possibile. Sei avvisato!” disse irritato ancora. I suoi occhi erano vitrei.
    Io riuscii ad alzarmi a fatica. Sputai il sangue che si era accumulato in bocca con disgusto e nel frattempo cercavo con lo sguardo Blaze che però aveva gli occhi puntati a terra.
    “Nessuno deve parlare con Blaze senza il mio permesso! Lei è mia e soltanto mia.” Lo disse quasi come se lei fosse un oggetto. “Se ti rivedo ancora insieme a lei, te l’ho detto, te la farò pagare con il tuo sangue.”
    Mi minacciava in continuazione, ma cosa voleva dimostrare? Blaze non sarebbe mai stata mia e questo era un dato di fatto. Feci cenno per accettare le sue minacce e finalmente entrambi salirono sull'auto parcheggiata a pochi metri di distanza e lui mise in moto, e sgommando lasciò un alone di fumo intorno alla folla che piano piano si dileguava.
    Feci un respiro profondo e di corsa tornai a casa.

    Appena rientrato nella mia stanza mi accorsi subito che il letto era disfatto. I miei sapevano che ero fuggito.
    Non mi restava che affrontare anche loro e chiudere la mia vita per sempre.

    Fine 3° Capitolo

    Mi sono divertita un sacco a scrivere quest'ultima parte di capitolo. Spero piaccia anche a voi!

    E come al solito, consigli ben accetti!
     
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    Posso farti un mega-applauso per il finale del capitolo? E' stato S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E! *______*
    La dichiarazione di Luce a Blaze, poi, è stata veramente epica! <3

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    Ora sono veramente curiosa di sapere come proseguirà! *________*
     
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  13. GÆBRIEL
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 4/6/2013, 15:16) 
    Posso farti un mega-applauso per il finale del capitolo? E' stato S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E! *______*
    La dichiarazione di Luce a Blaze, poi, è stata veramente epica! <3

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    Ora sono veramente curiosa di sapere come proseguirà! *________*

    Oddio mi fai emozionare! Grazieeee! :wub:
    Sono davvero felicissima che ti sia piaciuta questa chiusura di capitolo!
    Sulla dichiarazione di Luce ci lavoro da qualche giorno e sono contenta di come è venuta! E' proprio quello che volevo esprimere.

    Per quanto riguarda il 4° capitolo temo sia il più difficile da scrivere... capirai perchè...
     
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    Prego. ^_______^
    Per quanto riguarda la dichiarazione, è riuscitissima! U.U
    Sul capitolo 4, vedrò quando inizierai a postarlo. ^^ Ma sono sicura che supererai le difficoltà e realizzerai un capitolo altrettanto brillante!
     
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  15. GÆBRIEL
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    Capitolo 4 Parte 1

    Il vuoto si aprì intorno a me e m’inghiottì.
    Mi ritrovai in una spiaggia desolata, camminando a passo spedito, e stranamente una sensazione fantastica s’impadronì di me. Esaminai il cielo senza limiti e, ad un tratto, mi trovai in un sentiero adornato di alberi secolari ai lati. Era tutto irreale, era notte e c’erano tanti colori. Come quando guardi l’aurora boreale. Davvero stupendo.
    Improvvisamente, come un lampo, gli alberi iniziarono a prendere diverse forme, si tramutarono in bellissime ragazze. Una di queste era Blaze! Blaze tu non sai quanto ti amo!
    Corsi verso di lei e l'abbracciai. Ti amo, io sì, ti amo.
    Nel frattempo, gli altri alberi inviperiti iniziarono a lacerarmi la pelle fino a sanguinare, ma a me non importava, io ero felice, stavo con Blaze.
    Eccitatissimo, cominciai a fare sesso lei, fin quando mi sentii prendere da dietro da Santiago che si trasformò in un orribile mostro e iniziò a sbattermi tra gli alberi. Insieme a lui, mio padre, mia madre e anche mio fratello si mutarono anche loro in mostri. Mi torturarono, mi fecero male, mi morsero.
    Quando finalmente mi liberai ero stremato, non mi reggevo più in piedi; mi buttai a peso morto sul prato respirando affannosamente, guardai il cielo, c'era la luna, così grande che quasi la potevo sfiorare, era bianca, pallida, ma meravigliosa, al centro di essa Blaze mi guardava.
    Arrivo, amore, arrivo!
    Poi iniziai a cadere e fu buio tutto intorno a me...


    Mi svegliai di soprassalto quasi urlando. Avevo appena fatto un incubo. Guardai la sveglia che segnava le quattro meno un quarto del mattino. Poggiai le mie mani sul viso e mi venne da piangere. Non potevo continuare così.
    Cercai di mettermi seduto sul letto ma ci riuscii a fatica. Mi faceva male dappertutto. Ma ancor di più sul fianco destro. Sollevai la maglia per esaminare quella fitta e accesi la luce della scrivania. Quando mi avvicinai allo specchio e mi guardai, pensai che mio padre stavolta aveva esagerato. Sicuramente mi ero guadagnato una frattura costale. Il dolore era troppo lancinante per essere solo un’ammaccatura. Ma d'altronde me l’ero cercata. Non avrei mai dovuto uscire di nascosto, specie se non c’era stato niente di meritato, anzi. Avevo rimediato delle minacce da parte di Santiago che non promettevano nulla di buono e la punizione di mio padre che era ben peggiore di tutte le altre. Già perché mio padre, non solo me l’aveva fatta pagare cara picchiandomi come non aveva mai fatto in vita sua, ma addirittura mi aveva messo in castigo, e per castigo intendeva che ero agli arresti domiciliari sino a nuovo ordine. Cioè potevo andare a scuola ma dovevo rientrare subito dopo. Niente più uscite pomeridiane e questo significava che non avrei più rivisto zio Jason. Inoltre adesso mio padre aveva il terreno spianato poteva picchiarmi anche senza evidente ragione, perché la ragione gliela avevo data io stesso.
    Riabbassai la maglia con fatica e mi sdraiai sul letto nella speranza che quel dolore si placasse, ma mi faceva male persino quando respiravo. Dovevo solo restare a riposo nella speranza che le fitte si attenuassero anche se non ci confidavo molto.
    Ero davvero allo stremo delle forze e in preda ai forti dolori e alle lacrime, mi addormentai.


    “Lu…” mi sentii chiamare.
    Aprii gli occhi a fatica. Mia madre incitò a svegliarmi per andare a scuola.
    Stavo davvero male, il dolore al fianco era persino peggiorato, ma non potevo dirlo.
    In silenzio andai in bagno, feci una doccia e mi cambiai.
    Mettere lo zaino alle spalle fu una vera fatica, strinsi i denti per il dolore ma ci riuscii.

    Quando entrai nella mia classe, mi sedetti subito al mio solito posto; misi la mano sul mio fianco per confortarmi e cercai di sopportare quel dolore che via via andava si aggravava.
    Sapevo di non poterci far nulla, dovevo solo resistere.
    Passai l’intera mattinata a contare persino i secondi; non vedevo l’ora di tornare a casa per riposare, anche se, già lo immaginavo, i miei non mi avrebbero dato nessuna tregua.
    Durante la ricreazione non mi mossi dal mio banco, ero certo che i miei compagni mi avrebbero torturato, ma non potevo immaginare che Santiago, insieme ai suoi seguaci, mi onorava della sua presenza.
    Ovviamente io non avevo voglia di litigare in quelle condizioni, ma lui non lo sapeva e si divertì con me.
    “Allora ragazzi...” cominciò a raccontare lui. “Questo pezzo di merda, ieri mi ha fatto saltare i nervi; si è permesso di toccare la mia Blaze. Che dite? Come dovrei comportarmi?” chiese rivolgendosi a loro con aria di superiorità.
    I ragazzi diedero quasi tutti la stessa risposta: “Nessuno deve toccare la tua ragazza, puniamolo.”
    Io non avevo il coraggio di muovermi, ma non per loro, ma perché il mio respiro si faceva sempre più affannoso a causa della frattura.
    “Sembra che i ragazzi abbiano scritto la tua sorte!” disse Santiago rivolgendosi dritto a me.
    Io non riuscii a muovermi e lui si avvicinò a me.
    “Neanche mi degni di considerazione?” mi disse furibondo; mi prese per i capelli e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Lui mi sputò in viso e io cercai di resistergli ma ovviamente senza successo.
    “Santiago!” la voce era femminile ed entrambi gi girammo verso di lei. Blaze.
    Lui i tirò ancora più forte i capelli e mi disse: “Non credere che sia finita qua!”
    “Basta! Smettila! Andiamocene via.” Gli comandò lei.
    Lui mi lasciò e mi guardò con un sorriso che non mi piacque per niente. Poi insieme alla sua ciurma se ne andò e io ringraziai Blaze, che come un angelo era intervenuta al momento giusto.

    Le tre ore restanti della mattinata le avrei volentieri evitate, anche perché la professoressa di italiano ci aveva riconsegnato il compito in classe che avevamo fatto qualche giorno prima e io avevo rimediato un tre netto; la cosa peggiore è che avrei dovuto dirlo a mio padre. Già immaginavo la sua reazione e avrei voluto non tornare a casa; ma sapevo, in cuor mio, che l’avrei dovuto affrontare in ogni caso.

    Arrivato a casa, mio padre non era ancora tornato da lavoro, e io, di nascosto, mi imbottii di farmaci poiché il dolore al fianco era sempre più violento. Fortunatamente i medicinali fecero il suo dovere e io mi sentii un tantino meglio. Aiutai, come al solito, mia madre con il pranzo, ma non sapevo che da lì a poco mio padre mi avrebbe nuovamente picchiato.

    Al solito consigli ben accetti!

    Edited by GÆBRIEL - 6/6/2013, 09:42
     
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183 replies since 19/12/2012, 15:39   1734 views
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