Luce in frantumi

Drammatico

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    Esatto si chiama Luce e la pronuncia è italianissima.
    Il motivo per cui la pronuncia è in italiano lo spiegherò più avanti.

    Ti ringrazio per la spiegazione. ^^

    Non ho detto comunque che me lo aspettavo rammollito... ma visto il suo primo incontro con Blaze (alla festa, intendo) non mi aspettavo che il secondo avesse un esito così tanto migliore. ;)
     
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 8/2/2013, 00:29) 
    CITAZIONE
    Esatto si chiama Luce e la pronuncia è italianissima.
    Il motivo per cui la pronuncia è in italiano lo spiegherò più avanti.

    Ti ringrazio per la spiegazione. ^^

    Non ho detto comunque che me lo aspettavo rammollito... ma visto il suo primo incontro con Blaze (alla festa, intendo) non mi aspettavo che il secondo avesse un esito così tanto migliore. ;)

    ^_^

    Beh avevo accennato che Blaze non era cattiva in fondo. Anche se non è detto che gli avvenimenti devono essere per forza tutti felici. Siamo sempre sul genere drammatico. Ci si aspetta di tutto. ;)
     
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  3. •GABRIEL•
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    CAPITOLO 2

    Mi ci vollero dieci minuti buoni prima di riprendermi. Cavoli, mi toglieva il fiato. Era davvero uno splendore. Per l’occasione aveva lasciato sciolti i suoi capelli biondi e indossava un abito bianco immacolato che faceva risaltare il colore cangiante dei suoi occhi. Lei mi fissò per un attimo, rise e andò verso le sue amiche che erano dall’altro lato della sala.
    Sentii qualcuno prendermi il braccio e quando mi voltai, lo sguardo di mio padre era fisso su di me.
    “Cerca di non far danni!” Mi sussurrò all’orecchio.
    Sapevo cosa volesse dire, quindi gli feci un cenno d’approvazione con il capo.
    Pochi secondi dopo ero seduto sul divano, da solo, a guardarla. Cercavo di fare in modo che non se ne accorgesse, come facevo quando ero a scuola, ma era difficile, perché non riuscivo proprio a staccarle gli occhi di dosso. Era come una calamita da cui ero fortemente attratto.
    Mi guardai attorno. Alla festa c’erano decine di invitati, sembravano tutti di un certo livello. Scorsi mio padre e mia madre parlare con alcuni di loro. Mio fratello era con alcuni amici e io volevo solo andarmene, mi sentivo davvero fuori posto come un uomo vestito a lutto in un giorno di festa.
    Poco dopo la signora Jordan fece accomodare tutti nell’altra sala, dove sarebbe stata servita la cena. Era un salone altrettanto enorme, arredato per la festa con un albero di Natale pieno di lucine, al centro della sala. Sotto di esso tanti regali impacchettati. Era davvero sfarzoso, quasi rivoltante per me.
    Andai a sedermi accanto a mia madre e rimasi in silenzio.
    Della cena che fu servita non riuscii a mandare giù nulla; ero sicuro fosse ottima, ma io avevo lo stomaco chiuso.
    I miei pensieri erano tutti per la persona che stava seduta a qualche metro da me. Non riuscivo proprio a pensare ad altro.
    “E adesso... i regali!” Sentii urlare a qualcuno, e subito ci fu un via vai verso l’albero, la gente si scambiava i vari pacchetti con il sorriso stampato in faccia; erano felici come non mai e guardavo a loro con tristezza e forse anche con un pizzico di gelosia. Quanto avrei voluto essere come loro, con quell’entusiasmo attaccato addosso.
    Brusii e urlatine di compiacimento riempivano l’intera sala e io me ne sentivo del tutto escluso, come se fossi stato in una stanza completamente diversa dalla loro e li sentissi da lì, le voci attutite da quel muro enorme. Un muro che, forse, avevo costruito da solo.
    Io non avevo mai ricevuto regali dalla mia famiglia, né per Natale, né per il mio compleanno né per nessun’altra occasione.
    Anzi, a dirla tutta, dimenticavano che esistevo, specie quando era il giorno del mio compleanno. All’inizio mi faceva male, ma con il tempo avevo imparato a convivere con la cosa.
    Guardai i miei genitori scambiarsi dei regali, anche con mio fratello, poi spostai nuovamente il mio sguardo verso lei. Sembrava felice, aveva ricevuto una collana o un bracciale, era davvero felice.
    “Oh cavoli! Scusaci Lu... abbiamo dimenticato di comprare il tuo regalo!” Disse mia madre con un falso dispiacere.
    Io per tutta risposta scrollai le spalle e restai in silenzio. Non mi importava nulla di ricevere regali, l’unica cosa che volevo davvero non l’avrei avuta mai, quindi mi rassegnai.
    “Papà! Grazie mille! Sono felicissimo.” Quasi urlò mio fratello stringendo delle chiavi nelle mani.
    “Te lo meriti Nathan! Tu si che sei degno di essere mio figlio.” Disse mio padre marcando la parola figlio.
    Mio padre aveva regalato a Nathan un’auto nuova, e pensai che a me l’unica cosa che regalava, erano le cicatrici sul corpo.
    Mi alzai istintivamente dal mio posto e andai verso il giardino. Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria.
    Mi sentivo morto. Forse per riuscire a vivere un altro po’ avrei dovuto inventarmi un mondo roseo. Ma non era per niente facile.
    Camminai per un po’ verso il viale centrale adornato di statue marmoree e mi sedetti vicino una fontana che faceva strani giochi d’acqua.
    Da lì si riusciva a vedere la sala agghindata e persino le luci colorate. Si riusciva a sentire il brusio di voci, la musica, le risate in compagnia.
    Che destino di merda – pensai. Ma d'altronde cosa mi aspettavo? Era soltanto un altro fottuto Natale. Una festa bugiarda, dove le persone fingevano di essere buone.
    Alzai la testa verso il cielo e un brivido mi corse lungo la schiena. Sentivo il freddo glaciale, quello che mi impediva anche di respirare.
    Dopo alcuni secondi di smarrimento totale decisi di tornare dentro. Quando entrai nulla si era mosso, come se il tempo si fosse fermato.
    Raggiunsi in pochi passi mia madre che mi guardò severa.
    “Saresti dovuto rimanere, tuo padre è furioso!” Mi disse.
    Passai la mano sui miei capelli scompigliandoli un po’ quindi cercai con gli occhi mio padre. Dovevo chiedergli scusa. Quando lo trovai mi avviai verso di lui. C’era anche il padre di Blaze con lui. Stavano discutendo di lavoro, ne ero certo. Convenni che era meglio ritardare le mie scuse per evitare di incappare in un'altra figuraccia quindi mi voltai e andai a sbattere con quello che sembrava il corpo di una donna. Blaze.
    “Scusa.” Riuscii soltanto a dire. Ero pietrificato.
    Lei sorrise senza ironia e io riuscii con fatica a spostarmi.
    “Non voglio più incrociare i tuoi passi, stammi alla larga.” Mi sussurrò gelida.
    Poi se ne andò, seguita dalle sue amiche, lasciando il suo profumo e la sensazione di fiele sulla gola.

    Non immaginavo quella sua reazione, mi fece davvero male, più dei colpi inflitti da mio padre quella stessa sera.
    Avevo perso ogni speranza.
    A breve sarebbe ricominciata anche la scuola; le vacanze erano finite e io non sapevo che farne della mia vita.
    Mi sentivo perso e solo, avevo tanta voglia di piangere ma non ci riuscivo più, era come se d’un tratto avessi finito le lacrime. E questo non era un bene. Se non avevo più lacrime come sarei riuscito a sfogare tutto ciò che avevo dentro? Non mi restava che stare in silenzio nel mio angolino al buio e aspettare che, prima o poi, finisse tutto.

    L’inizio del nuovo anno non promise nulla di buono, per l’ennesima volta ero stato picchiato da mio padre per non essere stato veloce a stirargli la camicia. Silenziosamente pregavo. Non che credessi in Dio, avevo smesso di crederci quando anche lui mi aveva abbandonato, però pregavo perché qualcuno prima o poi mi tirasse fuori di lì, come una sorta di liberazione dalle tenebre.
    Ogni giorno che passava era sempre più difficile respirare, ogni giorno che passava mi sentivo sempre più morto.
    Avevo persino smesso di scrivere, neanche quello mi aiutava più. Era come se fossi caduto in un baratro buio e non riuscissi più a liberarmene, ormai c’era solo il dolore. Un tempo sarei riuscito a controllarlo, ma in quell’istante non c’era nulla che potesse aiutarmi a uscire dall’abisso.
    Mi sentivo insignificante, più il tempo passava, più le ferite sembravano non volessero guarire; ero in un oblio senza l’anima. Stavo annegando nel mio dolore e sembrava non ci fosse più tregua.
    Gli incubi mi tormentavano, ogni volta che chiudevo gli occhi morivo, mi distruggevo silenziosamente.
    Io amavo Blaze, per lei sarei stato disposto tutto, le avrei donato il mio ultimo respiro, avrei venduto anche la mia anima se fosse stato necessario, ma a lei non sarebbe importato. Ora lo sapevo, ora ne ero cosciente.
    Il mondo che mi ero creato con lei nei miei sogni, si era frantumato in tanti piccoli pezzi taglienti, e anche se solo cercavo di toccarli, per rimetterli al loro posto, mi ferivo e sanguinavo... riprendevo a morire.
    Non c’era nient’altro da fare, avrei dovuto dimenticarla. Ma non ci riuscivo. Dovevo vivere di lei, dovevo sentire battere il suo cuore nel mio, per poter continuare a respirare. E anche se cercavo di non pensare a lei, il suo viso tornava nitido nei momenti meno aspettati. Avevo bisogno di lei per sopravvivere. E anche se non avrei mai potuto averla, il mio cuore sarebbe rimasto per sempre intrappolato nei suoi occhi.
    Lei sola, era la vita in mezzo alla mia morte. Senza di Blaze era una vita a metà, una vita che avrei chiamato bugia per sempre. Era l’amore che provavo per lei che mi teneva in vita.
    Se fossi morto non avrei potuto più vederla, amarla, e non avrei potuto sopportarlo, quindi optai per vivere una vita a metà.

    Sentii squillare la sveglia, ma io ero già sveglio da un pezzo. Non avevo dormito neanche quella notte, avevo paura di dormire, gli incubi mi tormentavano.
    In poco tempo fui pronto, misi lo zaino sulla spalla e scesi di sotto, pronto ad andarmene.
    “Lu... ” Mi chiamò mia madre.
    Io non risposi, ma ascoltai.
    “Stasera non ci siamo, i Jordan hanno invitato me e tuo padre per una cena di lavoro. Mi raccomando, quando torni, pulisci, vai a fare la spesa e prepara la cena a tuo fratello, quando torniamo deve essere tutto in ordine!”
    La mia risposta fu un cenno. Poi uscii.
    Arrivato a scuola, mi resi conto che era presto, c’erano poche persone. Meglio, non sopportavo la confusione.
    Entrato nella mia aula, andai a sedermi al mio posto e con aria malinconica e stanca mi misi a guardare fuori dalla finestra, pensando a lei.
    Mi resi conto di quanto fossi patetico e cercai di pensare a qualcosa di più felice... sì, ma a cosa? Non ricordavo nulla di felice, e questo mi rese ancora più triste.
    Chiusi gli occhi nel tentativo di dimenticare, ma il trillo della campanella si insinuò prepotente nella mia mente, seguito dagli schiamazzi dei miei compagni che entravano in classe.
    Tutti presero posto, io rimasi immobile a guardare fuori dalla finestra, più solo che mai.

    L’insegnante doveva ancora entrare e nel frattempo i miei compagni parlottavano delle vacanze appena trascorse; non che mi andasse di sentire le loro chiacchiere, ma mi fece davvero male ripensare a lei e a come mi aveva trattato. D’altronde dovevo immaginarmelo, ma il mio cuore ci sperava troppo e ne rimase profondamente deluso. Si era rotto, e non c’era niente che potesse ripararlo.

    La mattinata trascorse come sempre. Ero stato interrogato, ma non sapendo niente mi ero beccato un due che di certo non avrebbe facilitato i rapporti con mio padre; durante la ricreazione i miei compagni trovarono divertente prendermi per i capelli, sputarmi addosso e gridandomi che ero un finocchio, un parassita, un coglione, un fallito, un perdente, un frocio di merda.
    Se avessero saputo la verità forse non la l’avrebbero pensata così. O forse era soltanto vero. In ogni caso, non importava, il dolore fisico non era assolutamente paragonabile al dolore che provavo dentro... ero davvero a pezzi, aggiustarmi, rimettere tutto a posto, non sarebbe servito. Il nodo che avevo alla gola si faceva sempre più pungente, e più cercavo di mandarlo giù, più era atroce.

    Quando tornai a casa ero solo. Mio padre e mia madre erano fuori, mio fratello era andato in palestra. Appoggiai lo zaino vicino l’appendiabiti, quindi cominciai, a malincuore, a fare ciò che mi aveva detto mia madre prima di uscire.
    Quando finii di pulire, andai a fare la spesa e mi dissi che era una buona scusa per passare da zio Jason.
    Zio Jason non era esattamente un mio parente, era un amico che avevo conosciuto quando ero bambino, in un’occasione alquanto triste, e che quando potevo passavo a trovare. Credo che fosse l’unico amico che avevo.

    “Zio Jason, ci sei? Sono io!” Dissi ad alta voce entrando dalla porta d’ingresso socchiusa.
    Aveva l’abitudine di tenerla così quando era in casa. Diceva che era comodo perché se fossero entrati i ladri almeno non gli avrebbero distrutto la porta. Però la chiudeva normalmente quando usciva. Effettivamente era un tipo abbastanza strano e bizzarro, forse per questo non era mai stato sposato, nonostante avesse i suoi trentaquattro anni suonati. La sua storia più lunga era durata due settimane scarse, con una ragazza di cui non ricordo il nome. Era però simpatico, aveva una strana somiglianza con James Dean, e ne andava fiero, ovviamente. Aveva successo con le ragazze, e questo gli bastava. Inoltre era lo scapolo d’oro della città, perché possedeva le azioni della casa automobilistica in cui lavorava.
    Era ricco e bello. Cosa potevano volere di più le donne?

    “Toh ma guarda chi si vede? Era da tempo che non venivi a trovarmi!” Disse lui facendo capolino dalla porta della cucina mentre mi veniva incontro. Poi mi abbracciò. Accennai un sorriso.
    “Hai ragione... ma sai com’è, no?” E abbassai lo sguardo.
    Zio Jason era quella persona di cui mi fidavo ciecamente, gli raccontavo tutto, mi faceva sentire meno solo.
    Lui fece cenno di si con la testa e abbassò anche lui gli occhi.
    “Dai su, entra... prendiamoci un caffè!” Disse pochi istanti dopo.

    Esaminai intensamente il liquido nero fumante dentro la tazza bianca che tenevo in entrambe le mani e che non mi andava di mandare giù.
    Mi guardai intorno. La stanza era straordinariamente immensa e molto alla moda. Zio Jason e le sue idee di arredamento strampalate. Aveva persino una fontana all’interno dell’abitazione e un televisore da cinquantacinque pollici in bagno.
    La sua casa era davvero enorme in uno stile moderno e futuristico allo stesso tempo ed era dotata di ogni comfort possibile. La camera da letto possedeva un letto rotondo ad acqua. E inoltre ogni parete era abbellita di strani marmi colorati e sicuramente molto costosi. Senza considerare i vari quadri e statue di valore che adornavano i muri. Era una casa stranamente estremista, ma nello stesso tempo unicamente perfetta. Avrei tanto voluto sorridere, ma proprio non ci riuscivo.
    “Sembra che le cose vadano peggio dall’ultima volta che ci siamo visti...” Disse lui distogliendomi dai miei pensieri.
    Io risposi solo con un cenno del capo e tornai a guardare il mio caffè.
    “Si può sapere cosa stai facendo?” Mi guardava intensamente.
    “Le solite cose di sempre. Lo sai.”
    “Non intendevo questo. Cosa stai facendo della tua vita? Cavoli! Hai diciotto anni... si può sapere cosa stai aspettando?” Mi freddò.
    “Non lo so.” Risposi mettendomi le mani in testa quasi a volermi proteggere.
    “Ascoltami... Non puoi più continuare così! Devi assolutamente reagire!” Mi consigliò, poi aggiunse: “Anche con tuo padre... dovresti mandarlo al diavolo!”
    “Non posso” Riuscii solamente a dire.
    “Che significa non puoi? Fossi in te sarei scappato da un pezzo da quella casa!” Alzò di un tono la voce.
    “Per andare dove?” Chiesi quasi esausto. “E poi è sempre la mia famiglia... in qualche modo voglio ancora bene a tutti.” Aggiunsi.
    “Ti capisco, ma non puoi vivere per sempre in queste condizioni. Ti rendi conto o no che ti stanno solo massacrando?” Era quasi arrabbiato, lo avvertivo.
    Per tutta risposta mi alzai e gridai: “Lo so, cosa credi? So cosa mi fanno! Lo vivo tutti i santi giorni nella mia pelle!” Poi con un gesto alzai la maglietta facendogli vedere le ultime ferite.
    Restammo immobili e in silenzio, fu lui a romperlo. Mi aiutò ad abbassare la maglia.
    Era la seconda volta che mi capitava di far vedere le mie ferite. Ma cosa volevo dimostrare?
    “Mi dispiace.” Disse affranto.
    Io dovetti combattere per ricacciare indietro le lacrime. Lui però lo capì e mi abbracciò forte.
    “Sai che ci sono sempre per te!”
    “Si, lo so.” Abbassai la testa.
    “E a scuola come va?” Lui cercò di cambiare discorso, ma non sapeva che mi avrebbe fatto più male.
    “Ok! Ho capito, neanche te lo chiedo.” Capì e restò in silenzio. Stavolta fu io a romperlo.
    “Lei, Blaze... ora so che posso toglierla dalla mia mente... solo che non ci riesco.”
    “Le hai parlato?” Mi chiese.
    “Parlato? No, non è esatto. Diciamo che mi ha solo detto che non devo incrociare mai il suo sguardo neanche per sbaglio. Gentile no?” Cercai di essere sarcastico, ma dentro ci morivo.
    “E’ un passo avanti comunque. Ora sa che esisti!” Disse lui cercando di strapparmi un sorriso.
    “Facciamo così... se riesci a conquistarla ti regalo la mia auto.”
    “Quale delle due?” Chiesi per nulla interessato. Sapevo che si trattava della Lexus. L’altra non l’avrebbe mai proposta.
    “Non è la Lexus.” Disse lui captando i miei pensieri.
    “Stai scherzando!” Ero confuso.
    “Per nulla... credo che ti serva un incentivo per conquistarla...”
    “Cioè mi stai dicendo che se faccio di lei la mia ragazza tu mi regali...” Non riuscii a finire la frase. Ero davvero stupito.
    “La Lamborghini Gallardo!” La completò lui.
    Mi ci volle un po’ per riprendermi: “Tu me la stai proponendo solo perché sai che non la conquisterò mai!”
    “Scherzi? Io voglio solo incentivarti!” E un sorriso si impadronì di lui.
    Sorrisi. Era riuscito a farmi sorridere. Ecco perché volevo bene a zio Jason.
    Guardai l’orologio e mi resi conto che si era fatto tardi.
    “Ora è meglio che vada, devo ancora preparare la cena a mio fratello.”
    “Ok! Ma chiamami se hai bisogno. Per qualunque cosa. Il mio numero ce l’hai, usalo di tanto in tanto.” Sorrise.
    Andai verso la porta d’ingresso e lo guardai che era in piedi appoggiato allo stipite della porta con la tazza di caffè, oramai freddo, ancora nelle mani.
    “Mi raccomando ricordati della scommessa...” Quasi lo urlò.
    “D’accordo... La lascio socchiusa?” Chiesi riferendomi alla porta.
    “Si, grazie... allora ciao!” Mi salutò.
    “Ciao.” Uscii e scossi la testa.
    Niente da fare, zio Jason era il migliore amico che tutti desiderano.

    Grazie a zio Jason ero di buon umore, anche se sapevo che sarebbe durato relativamente poco, perché quando sarei arrivato a casa, i problemi e i dolori si sarebbero impadroniti di me nuovamente. Quindi non mi restava che godermi quell’attimo.
    Passeggiai lungo il viale che mi avrebbe portato a casa, totalmente rapito dal pensiero della Lamborghini. D’altronde era il sogno di qualsiasi ragazzo, me compreso. Sarebbe stato davvero bello vincerla, non tanto per il premio, ma perché sarei riuscito a conquistare lei, la donna dei miei sogni. Blaze.
    Ero nel pieno dei miei pensieri quando sentii una dolce melodia provenire da una finestra poco illuminata. Mi incuriosii e decisi di andare a vedere. Mi sporsi sul cornicione della finestra e non appena vidi l’interno della stanza, stavo quasi per cadere all’indietro, ma fortunatamente con grande sforzo, riuscii a trattenermi.
    Ero davvero stupito. Il suono era quello di un pianoforte e a suonarlo era Blaze.
    Stentavo a crederci. Non credevo che una ragazza così priva di scrupoli suonasse il pianoforte, uno strumento musicale così delicato.
    Stetti ad osservarla, ero completamente attratto da lei e da quel suono dolce e melodioso.
    Quando lei finì, scesi dal cornicione e, camminando all’indietro, compresi che quella era una scuola di musica. Non c’avevo mai fatto caso prima di allora.
    Pensai che sarebbe stato davvero bello frequentarla, ma forse era meglio che tenevo per me certi pensieri. Scossi la testa, negandomi un sogno.
    Mi resi conto che si era fatto davvero tardi, cercai quindi di riprendere la mia strada, ma venni spinto in avanti e mi ci volle tutta la forza che avevo nel corpo per riuscire a tenermi in piedi.
    “Ehi!!!” Urlai quasi a squarciagola ad una figura che correva a più non posso nella mia stessa direzione.
    Lei si girò un istante e mi rispose: “Scusa, vado di fretta!” E riprese a correre.
    Io rimasi impalato alla sua vista. Era Blaze.
    Cercai di raggiungerla correndo a più non posso, e, alla fine, ci riuscii.
    “So che avevi detto che non avrei dovuto incrociare il tuo sguardo, ma mi sei fiondata praticamente addosso.” Dissi ironico.
    Si fermò di colpo e vidi il suo sguardo passare da tranquillo a felino in un solo attimo.
    “E allora? Cosa vuoi?” E riprese a camminare a passo veloce.
    Io la seguii. “Suoni il pianoforte?” Chiesi anche se sapevo già la risposta.
    “Che fai? Mi spii? Sappi che non è carino. Potrei denunciarti per stalking.” Sbottò.
    “Non ti stavo spiando. Sono passato per caso vicino la scuola e ti ho visto.” Spiegai.
    Lei si fermò nuovamente e mi guardò fisso.
    “Se ti chiedo un favore... me lo fai?” Chiese lei quasi irrequieta. Potevo quasi avvertire il suo piede tremolante.
    “Dipende dal favore.” Risposi beffardo.
    Per tutta risposta mi arrivarono ripetuti colpi di borsa sulle spalle.
    “Ok, ok! Te lo faccio.” Mi arresi e lei smise.
    “Bene.” Disse compiaciuta.
    “Allora? Quale favore ti devo fare.” Chiesi.
    “Non devi mai dire a nessuno che suono il pianoforte. A nessuno mai. Promettilo.”
    Aveva gli occhi lucidi.
    Stetti per un minuto buono a fissarla intensamente.
    “Va bene, te lo prometto... ma ad una condizione.” Presi la palla al balzo.
    “Cosa? E da quando in qua metti tu le regole?” Sembrava più un’affermazione che una domanda.
    “Esattamente da adesso. O altrimenti puoi dire addio al tuo segreto!”
    Non volevo essere scortese con lei. L’amavo più di me stesso. Ma dovevo giocarmi le mie carte per bene. Non potevo perdere un’occasione così.
    “E va bene... che condizione?” Si arrese.
    “Niente di che. Ti chiedo solo di uscire con me per una sera.” Conclusi speranzoso.
    “Solo questo?” Chiese lei meravigliata.
    “Perché ti sembra poco?” Sorrisi.
    Lei rise di gusto. “Altri, al tuo posto, mi avrebbero chiesto di peggio.”
    Sapevo a cosa alludeva e le avrei chiesto di peggio fossi stato davvero in me. Ma per adesso mi sarei accontentato di una sera. Dovevo conquistarla, non portarmela a letto.
    “Ma io non sono gli altri.” Le feci notare.
    “D’accordo... ti concedo solo una sera.” Sorrise e riprese a camminare. Io la seguii.
    Cavoli, era dannatamente bella e io credevo di stare in un sogno. Speravo solo di non svegliarmi mai.
    “Perché non vuoi che nessuno sappia che suoni il pianoforte? Sei così brava.” Le chiesi curioso.
    Lei si fermò un attimo, poi riprese a camminare.
    “Perché non capirebbe nessuno.” Disse tristemente. “Ti è mai capitato di non essere compreso da nessuno qualunque sia la cosa che fai?” Mi chiese.
    “Ogni volta.” Fu la mia riposta.
    “E allora penso che puoi capirmi.” Disse.
    “Penso proprio di sì. Anche se mi dispiace.” Abbassai lo sguardo.
    Restammo in silenzio camminando ancora un po’. Poi mi fermai.
    “Blaze...” La chiamai.
    “Sì.” Si voltò verso di me.
    “Ricordi la festa di Natale?” Le chiesi sperando capisse.
    “Non volevo risponderti così aspramente o farti del male. Ma sai com’è, quando sono con i miei amici sono Blaze Jordan. Non posso permettermi errori.”
    “Certo, capisco.” Alzando gli occhi mi resi conto che ero arrivato a casa mia.
    Lei restò ferma.
    “Sono arrivato.” Dissi triste. Sapevo che già dall’ indomani sarebbe tornato tutto come era sempre stato.
    “Lo so.” Mi sorrise triste.
    “Senti, Blaze, se vuoi posso rinunciare alla mia condizione. Posso comunque non dire a nessuno che suoni il pianoforte.” Le promisi.
    “E perché dovresti rinunciare? Usciremo insieme. E’ la mia promessa.” E mi regalò un altro sorriso.
    Non potevo crederci, quella che avevo di fronte non era la stessa Blaze della festa. Questa era decisamente migliore.
    “D’accordo. Ora è meglio che vada. A presto.” La salutai.
    “Ehi!” Urlò e mi voltai. “Devi perdonarmi... ma non ho mai saputo il tuo nome.”
    I suoi occhi da cerbiatta sembravano davvero dispiaciuti.
    Io mi avvicinai a lei nuovamente e all’orecchio le sussurrai:
    Luce. Il mio nome è Luce.”

    Edited by •GABRIEL• - 11/2/2013, 21:08
     
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  4. °°Claudia°°
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    Ho appena letto l'aggiornamento *-*
    Anche io come Milù ho notato questo slancio di coraggio da parte del protagonista :woot:
    Mi è sembrato più fiducioso in se stesso rispetto al ragazzo quasi succube che abbiamo visto nelle parti precedenti! Chiaramente questo è un bene ed è stato positivo vedere questo cambiamento in lui!
    Solo su Blaze sono ancora scettica, nel senso che non mi convince.
    Perché tutta questa importanza alle apparenze? E, soprattutto, come fa un ragazzo dolce come Luce a essere attratto da una persona che, almeno per ora, da l'impressione di essere superficiale?

    Non vedo l'ora di scoprirlo *-* e di sapere quale ruolo rivestirà lo zio di Luce *-*
    Ottimo lavoro, questo romanzo mi sta piacendo sempre di più ;)
     
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  5. •GABRIEL•
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    CITAZIONE (°°Claudia°° @ 8/2/2013, 14:46) 
    Ho appena letto l'aggiornamento *-*
    Anche io come Milù ho notato questo slancio di coraggio da parte del protagonista :woot:
    Mi è sembrato più fiducioso in se stesso rispetto al ragazzo quasi succube che abbiamo visto nelle parti precedenti! Chiaramente questo è un bene ed è stato positivo vedere questo cambiamento in lui!
    Solo su Blaze sono ancora scettica, nel senso che non mi convince.
    Perché tutta questa importanza alle apparenze? E, soprattutto, come fa un ragazzo dolce come Luce a essere attratto da una persona che, almeno per ora, da l'impressione di essere superficiale?

    Non vedo l'ora di scoprirlo *-* e di sapere quale ruolo rivestirà lo zio di Luce *-*
    Ottimo lavoro, questo romanzo mi sta piacendo sempre di più ;)

    Guarda non voglio dire cosa succederà, perchè non voglio spoilerare... ma sicuramente siamo ancora all'inizio... è tutto ancora da leggere. :rolleyes:

    Su Blaze non posso rivelare nulla, vi consiglio di tenerla sempre d'occhio... ;)

    Per le altre risposte mi sa che dovrete scoprirle leggendo. ^_^

    Sullo zio di Luce non mi pronuncio affatto! :P

    E comunque grazie mille per leggermi, ne sono davvero onorata. :wub:
     
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    E comunque grazie mille per leggermi, ne sono davvero onorata.

    Di nulla. *-*
     
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  7. •GABRIEL•
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    Indovinate un po'?

    CAPITOLO 3

    Entrai a casa chiudendo la porta alle mie spalle. Restai immobile appoggiato per qualche secondo sorridendo tra me e me.
    Blaze, la donna dei miei sogni, mi aveva fatto una promessa e io stentavo a crederci. Mi trovavo forse in un sogno... era troppo bello per essere vero. Finalmente qualcosa di incredibilmente felice capitava a me... a me, che fino a qualche ora fa volevo farla finita una volta per tutte.
    Chiusi gli occhi godendomi l’attimo, ma li aprii all’improvviso sentendo la guancia che bruciava. Alzai lo sguardo, mio padre dinanzi me mi aveva appena dato uno schiaffo.
    Non feci nemmeno in tempo di cercare di capire cosa stesse succedendo che mio padre si scaraventò su me, continuando ripetutamente a darmi calci e pugni anche sul viso.
    Non si fermò anche quando cercai di chiedergli il perché e mi rassegnai come sempre; non ci doveva essere un motivo per essere picchiato da mio padre.
    Mentre mio padre continuava a picchiarmi, mio fratello Nathan spuntò dalla porta della cucina che dava all’ingresso. Aveva un sorriso beffardo disegnato sul volto. All’improvviso capii. Era per lui che le stavo prendendo di santa ragione. Non gli avevo preparato la cena e lui, ovviamente, l’aveva detto a mio padre che adesso stava dandomi la sua punizione.
    Perché la felicità dura solo un attimo? Fino a qualche momento fa avrei voluto vivere solo per mantenere una promessa, ma adesso tutto mi stava crollando addosso di nuovo. Perché? Per una stupida cena? Pensandoci bene le prendevo sempre per cose stupide e banali e rare volte mi erano concesse risposte, per il resto dovevo darmele da solo, anche se il più delle volte, non riuscivo a comprendere.
    Sentivo la testa scoppiare e il corpo bruciare. Fu in quell’attimo che capii che mio padre aveva finito, sicuramente anche lui si era stancato. Chiusi gli occhi, ormai sfinito, mi accasciai a terra.
    Quando riaprii gli occhi, sentii mia madre lavare i piatti. Ero svenuto, ma nessuno accorse, ma naturalmente anche questa non era una novità. A fatica mi tirai su, il mio stomaco brontolava, avrei dovuto buttarci giù qualcosa, ma chiedere a mia madre cosa fosse rimasto da mangiare sarebbe stato un suicidio quindi rinunciai. Andai in camera mia, affamato e sanguinante, e mi buttai sul letto. Non mi andava di sentire più niente, neanche il rumore delle mie lacrime ormai finite.
    Se non fosse stato per Blaze e la sua promessa sarei andato in bagno, avrei preso una di quelle lamette che mia madre usa per togliere i calli dai piedi e mi sarei tagliato le vene senza pensarci su. Effettivamente era un piano che avrebbe anche funzionato bene, ci pensai su, e lo conservai da qualche parte nel cervello. D’altronde meglio averceli piani del genere, soprattutto se si parla della mia vita.
    Sentivo il flusso dei pensieri scorrere veloci, come la pellicola di un film riprodotta in velocità avanzata, e un po’ per le ferite, un po’ perché ero davvero esausto, mi addormentai.

    Quando mi svegliai la mattina seguente, mi sentii come se avessi preso una sbronza colossale e adesso ne stessi pagando le conseguenze. Guardai la sveglia. Erano le cinque del mattino e io ero ancora con i vestiti fracidi di sangue della sera prima. Decisi che era meglio fare una doccia anche per lavar via i pensieri e così feci. Mi vestii e mi guardai un attimo allo specchio. Forse era meglio che evitavo quel gesto. Mi accorsi che la mia faccia era deturpata da dei lividi violacei. Di certo non potevo andare a scuola conciato in quel modo; mi avrebbero fatto delle domande e a me sarebbe toccato mentire, come quando ero bambino e dicevo che ero caduto dalla bicicletta o che mi ero preso una pallonata giocando a calcio e altre scuse così.
    Ma stavolta che scusa avrei dovuto inventarmi? Più che altro avrei dovuto mascherare quei lividi.
    Corsi in bagno in cerca della trousse di mia madre. Ci trovai il fondotinta coprente che lei usava spesso per mascherare i segni della sua età, e provai a passarlo sulla mia pelle.
    Effettivamente funzionava, meglio per me. Appena finii lo risistemai nella trousse con su disegnato Marylin Monroe e mi riguardai allo specchio. Ero afflitto e sentivo bussare il piano che aveva preso forma nel mio cervello e che avevo conservato, ma lo ricacciai indietro. Oggi dovevo vedere Blaze, solo questo importava per me.
    Quando riandai nella mia stanza, guai l’orologio che segnava le sei e un quarto. A breve la sveglia di mio padre sarebbe trillata e io non volevo farmi vedere girare per casa, ma dovevo mangiare o altrimenti sarei di nuovo svenuto; quindi mi diressi verso la cucina in cerca di qualche cibo.
    Appena accesi la luce rimasi impietrito. Mia madre seduta su di una sedia con le braccia appoggiate sul tavolo. Aveva gli occhi appannati dalle lacrime ed era come immobilizzata a guardare la stessa direzione.
    “Mamma?” la chiamai quasi sottovoce.
    Lei si girò verso di me e mi fissò. Piangeva a dirotto e non seppe dirmi nulla.
    Se mi fossi trovato in un’altra famiglia, sarei corso da lei a consolarla e a farmi dire quale fosse il problema. Ma io non avevo il coraggio di avvicinarmi a lei. Va bene che ero suo figlio, ma lei non mi aveva mai dimostrato di essere mia madre. Se non fosse per lo stato di famiglia che attestava che ero figlio loro avrei detto che questi non erano i miei genitori.
    Comunque provai a essere gentile con lei. “Stai bene?” chiesi solamente e restai immobile all’ingresso.
    Per tutta risposta lei si coprì il viso con le mani e pianse di più.
    Io non sapevo come comportarmi, che dire, e rimasi a fissarla dimenticandomi completamente per quale motivo mi trovassi in cucina.
    Dal piano superiore si sentì trillare la sveglia di mio padre. In poco tempo sarebbe sceso per farsi un caffè.
    Mi guardai attorno e mi sedetti accanto a lei. Provavo pena per lei e non avrei saputo dire nemmeno il perché. Volevo fare qualcosa di buono per lei ma ogni mio tentativo risultava vano. La fissai ancora per un po’ e poi decisi che era meglio togliere il disturbo, tanto non le ero d’aiuto. Feci per alzarmi ma lei prese la mia mano, come per dirmi che non dovevo andarmene. Il tocco con lei mi risultò strano, non lo saprei descrivere, ma mi fece sussultare.
    Lei mi guardò con gli occhi pieni di lacrime e accennò un sorriso. Dal mio canto io non riuscii a ricambiare quel sorriso e allontanai il mio sguardo da lei.
    “Non preoccuparti.” Disse finalmente e mi rivoltai verso di lei un po’ stupito. “Sto bene, è stato solo un momento di debolezza.”
    Io rimasi a fissarla, poi lei si alzò si avvicinò a me, mi diede un bacio sulla guancia dove c’era uno dei lividi e uscì dalla stanza.
    Io ero impietrito. Non me lo sarei mai aspettato da lei. Istintivamente la mia mano si poggiò dove lei mi aveva baciato e una strana sensazione s’impadronì di me.

    Perdonate gli oerrori e se avete consigli, correzioni sono ben accetti!
    E Grazie sempre per leggermi! ^_^
     
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    Ciaooooooo! Sono proprio felice che tu abbia deciso di continuare e che sia arrivato l'inizio del terzo capitolo! *-* Mi era mancato questo romanzo.

    Per il momento mi sembra che questa sia una situazione un po' di "stallo", come una preparazione per le sorprese che arriveranno più tardi. u.u

    Per quanto riguarda la madre, la trovo più odiosa ogni volta che compare! :D
    Il testo mi sembra sempre scorrevole, errori non mi sembra di averne notati, quindi credo che le tue preoccupazioni in proposito fossero eccessive. ^^

    Attendo il seguito! *-*
     
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 5/5/2013, 17:23) 
    Ciaooooooo! Sono proprio felice che tu abbia deciso di continuare e che sia arrivato l'inizio del terzo capitolo! *-* Mi era mancato questo romanzo.

    Per il momento mi sembra che questa sia una situazione un po' di "stallo", come una preparazione per le sorprese che arriveranno più tardi. u.u

    Per quanto riguarda la madre, la trovo più odiosa ogni volta che compare! :D
    Il testo mi sembra sempre scorrevole, errori non mi sembra di averne notati, quindi credo che le tue preoccupazioni in proposito fossero eccessive. ^^

    Attendo il seguito! *-*

    Graziee! :wub:

    Era mancato anche a me... ma ho trovato un po' di pace e un po' di tempo per continuarlo! ^_^ E direi anche finalmente!

    Si questa situazione è di stallo, ma già nel prossimo pezzo succederà qualcosa di imprevisto e di non calcolato. Lo vedrai!
     
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    Si questa situazione è di stallo, ma già nel prossimo pezzo succederà qualcosa di imprevisto e di non calcolato.

    Ne sono sicura! :D
     
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  11. •GABRIEL•
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    Niente, volevo solo farvi ridere...

    CAPITOLO 3 parte due

    Mia madre non mi aveva mai toccato neanche per sbaglio e adesso mi aveva dato un bacio. Ero confuso. Forse anche quello si trattava di una debolezza, o altrimenti, l’unica cosa che mi venne in mente, era che lei stava bleffando sadicamente in un gioco che conosceva bene ma di cui ero completamente all’oscuro; e se era davvero così l’unico a rimetterci ero io.
    Mi dissi che era meglio non pensarci troppo, così mi alzai e mi diressi verso il frigorifero, presi il latte, lo versai in una tazza e ci buttai giù una manciata di cereali che avevo preso dalla credenza. Finì di mangiare in fretta e mi diressi verso la mia stanza.
    Incrociai mio padre nelle scale, mi fulminò con lo sguardo ma mi lasciò passare. Appena entrato nella mia stanza presi il cellulare che mi aveva regalato zio Jason, deciso a telefonargli.

    “Pronto.” Sentì dall’altro capo del telefono.
    “Zio Jason sono io, Luce!”
    “Luce?” Sbadigliò e seguì un silenzio. “Ma ti sembra questo il momento di chiamarmi? Cazzo è praticamente l’alba!” urlò.
    Sicuramente aveva guardato la sveglia. Pensai che avevo appena fatto una sciocchezza. Persone come zio Jason non riuscivano a connettere prima di mezzogiorno, e chiamarlo a quell’ora equivaleva a un dispetto da lavare con il sangue.
    “Non provare a riagganciare!” dissi quasi urlando.
    “Non urlare così! O altrimenti sarò di malumore per tutto il giorno! Uffa!” disse adirato. “Ti ascolto... che succede?” Si calmò.
    “Penso che potrai dire addio alla tua tanto amata Lamborghini, sai?” gli annunciai soddisfatto sorridendo.
    “E mi chiami all’alba per dirmi questo? Porca trota Luce! A me sembrava che era successo qualcosa di grave.” Disse irritato.
    “E’ successo anche quello... ma non mi va di parlarne.” Cercai di deviare il discorso.
    “A te non va mai di parlarne! Luce, le cose le devi affrontare non subire! Te l’ho detto migliaia di volte. Ti stai costringendo a vivere una vita a metà e non lo meriti. Vivi sotto lo stesso tetto di persone pazze isteriche che non fanno altro che torturarti nei peggiori modi possibili; ti costringi ad andare ad una scuola che non vuoi frequentare sapendo che il tuo sogno, che ormai hai deciso di rinchiudere e di non lasciare uscire, è un altro. Tu lo sai, io ti voglio bene, ma il fatto di essere sempre vittima non aiuta. Devi tirare fuori le unghie, tigre. Dovresti mandare tutti a fanculo e inseguire i tuoi sogni. Questo devi fare! E se qualcuno prova a impedirtelo lo devi distruggere, non farti distruggere. Luce, io ci sono per te e qualora tu decidessi di andartene da quella casa, puoi venire da me, lo sai.” Concluse.
    Rimasi gelato dalle sue parole e anche le lacrime avevano ritrovato il loro percorso. Zio Jason aveva ragione, ma io non avevo questo coraggio.
    “Luce” Riprese a parlare. “Io so che per te è difficile. Ma devi iniziare a fare piccoli passi per uscirne. Io ti aiuto, ma tu devi metterci del tuo, mi hai capito? Devi provarci almeno; cerca di affrontare gli ostacoli che ogni giorno la vita ti mette davanti. Affila gli artigli e fa vedere a tutti chi sei!”
    Lui mi voleva davvero bene, lo si comprendeva dalle sue parole. “Si.” Dissi asciugandomi le lacrime con la manica della giacca.
    “Ok, comincia già da oggi... E ora possiamo parlare della Lamborghini. Che è sta storia?” disse interessato.
    Mi ricomposi e trovato di nuovo la mia tranquillità dopo le sue parole gli risposi: “La storia della tua Lamborghini persa!”
    “No, no... aspetta! Vuoi dirmi che hai conquistato Blaze?” Stavolta il confuso era lui.
    “No, io ho detto preparati a perderla, non che l’hai persa! Attenzione alle mie parole zio!” dissi beffardo.
    “Ok, comunque sta storia devi raccontarmela! Sono curioso...” disse quasi sottovoce.
    “Ho incontrato Blaze dopo che sono uscito da casa tua ieri... le ho parlato e non mi ha rifiutato! Anzi! Abbiamo una cena in sospeso!” Gli rivelai.
    Dall’altro capo del telefono non si sentì più nulla.
    “Zio? Zio Jason?” cominciai a chiamarlo. Nulla, non udii più nulla. Pensai che fosse caduta la linea ma provai lo stesso a chiamarlo più forte.
    “Si, si, pronto, chi è?” mi urlò.
    “Zio mi senti? E’ da qualche minuto che parliamo al telefono e tu ti riaddormenti mentre parlo?” Pensai a zio Jason addormentato con il telefono appoggiato all'orecchio e mi venne da ridere.
    “C’ho sonno! Possiamo parlarne più tardi? Perfavore...” E staccò la chiamata.
    Scossi la testa -Sto tizio è troppo strano- pensai tra me e me. Però gli volevo un bene dell’anima; almeno era l’unico che non rideva delle mie ferite, anzi cercava di tirarmi fuori da quell’incubo perenne.


    A solito, consigli ben accetti! E spero tanto che questo pezzo sia di vostro gradimento!
     
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    Zio Jason! :wub: Ma quanto adoro quel personaggio? *-*
    Sono davvero felice che sia ricomparso in questo capitolo! *______*
    Per quanto riguarda le sue parole mi incuriosiscono: mi riferisco a quando ha parlato del sogno che ha Luce... Non vedo l'ora di scoprire che sogno sia! <3

    CITAZIONE
    Forse anche quello si trattava di una debolezza, o altrimenti, l’unica cosa che mi venne in mente, era che lei stava bleffando sadicamente in un gioco che conosceva bene ma di cui ero completamente all’oscuro; e se era davvero così l’unico a rimetterci ero io.

    era che lei stesse bleffando secondo me suonerebbe molto meglio.

    CITAZIONE
    Finì di mangiare in fretta e mi diressi verso la mia stanza.

    finii.
     
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    CITAZIONE (»Milù Sunshine» @ 9/5/2013, 14:48) 
    Zio Jason! :wub: Ma quanto adoro quel personaggio? *-*
    Sono davvero felice che sia ricomparso in questo capitolo! *______*
    Per quanto riguarda le sue parole mi incuriosiscono: mi riferisco a quando ha parlato del sogno che ha Luce... Non vedo l'ora di scoprire che sogno sia! <3

    Grazie per i tuoi consigli... li ho già messi in atto! ^_^

    Zio Jason lo adoro anche io! :wub: E comunque comparirà spesso nel romanzo, assumerà persino il ruolo di co-protagonista ad un certo punto, ma non voglio dirvi altro! :xD:

    Per il sogno di Luce invece ci vorrà ancora un po' per scoprirlo...
     
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    Di nulla Gab.
    Comunque la notizia sullo zio Jason mi rende moooooolto soddisfatta! :wub:
     
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    CAPITOLO 3 parte 3

    Arrivai a scuola con largo anticipo, volevo riuscire a parlare con Blaze, anche se non mi facevo troppe illusioni. Quando era a scuola, lei era Blaze Jordan, quella che non poteva permettersi errori.
    Mi sedetti sugli scalini dell’entrata deciso ad aspettarla. Nel frattempo vidi arrivare Santiago, un compagno di classe di mio fratello, con una Bmw cabrio nuova di zecca.
    Si vantava con gli amici della sua auto ma il mio sguardo si posò in qualcosa di ben più interessante. La ragazza che riusciva a comandare i battiti del mio cuore. Mi alzai per farle incontro, sorridendo, ma lei non si curò della mia presenza, andò dritto da Santiago e lo baciò avidamente.
    Guardai la scena perplesso; non riuscivo a comprendere. Mi dissi se quello che fosse successo ieri non fosse stato solo un sogno. Ero amareggiato, deluso e non riuscii a capire. Li guardai ancora un po’ e vedendoli entrambi felici, decisi di andare dritto in aula ad ascoltare una lezione che non mi interessava.
    Passai l’intera mattinata a non riuscire a smettere di pensare ciò che avevo visto. Lei si stava burlando di me. Probabilmente anche la promessa della cena era una finta. Mi avrebbe dato un appuntamento e io l’avrei aspettata tutta la sera, e magari lei, nel frattempo, rideva con gli amici di me.
    Pensare a questo mi fece ancor più male; in confronto le parole che mi aveva detto alla festa erano miele.

    Quando tornai a casa, dopo la scuola, avrei voluto tanto dar vita a quel piano che avevo custodito da qualche parte nella mente, ma mia madre mi richiamò alla realtà; voleva che la aiutassi con il pranzo e così feci.
    Entrambi evitammo di guardarci e di parlarci, d’altronde io non avevo nulla da dire, non in quel momento, almeno.
    Il pranzo fortunatamente per me si risolse senza il mio sangue sparso per casa e io ne fui grato. Aiutai nuovamente mia madre con le pulizie e chiesi per la prima volta, nella mia vita, a mio padre di uscire. Non sapevo la reazione che avrebbe avuto, ma sembrava di buon umore.
    “Papà!” lo chiamai distogliendolo dal Tg.
    “Che c’è?” sbuffò lui.
    “Vorrei uscire per prendere una boccata d’aria, posso?” gli chiesi nel modo più gentile possibile.
    “Perché non studi invece di perdere tempo?” iniziò a scaldarsi e io ebbi un po’ paura.
    “Domani è domenica, studierò quando torno e anche domani, promesso! Ho bisogno di uscire un po’!” lo pregai perché ne avevo davvero bisogno. In realtà volevo andare da zio Jason.
    “Ok, ma tra un ora devi essere qui! Non un minuto di più!” disse con un tono che non ammetteva repliche. Dal canto mio lo ringraziai, presi la giacca e uscii.

    “Zio Jason! Sono Luce!” mi annunciai entrando a casa sua.
    Mi feci strada verso la cucina osservandomi intorno, ma lui non c’era.
    Lo richiamai svariate volte, sino a che non sentii dei rumori provenire dalla camera da letto.
    -Possibile che stesse ancora dormendo?- mi chiesi e così decisi di andare a vedere.
    Stavo quasi per aprire la porta quando mi trovai davanti una donna coperta solo dal lenzuolo nero che aveva tirato via dal letto.
    Istintivamente venne da coprirmi il viso con le mani e urlai a Jason: “Maledizione zio! Potresti avere almeno l’accortezza di chiudere quella maledettissima porta quando hai il bel daffare?”
    La ragazza nel frattempo filò dritta in bagno mentre zio Jason si stava rivestendo. Io tolsi le mani dal viso.
    “Hai ragione, ma sai com’è no?” cercò di divincolarsi sorridendo.
    “Ok, ok! Dovrei parlarti e ho meno di un ora.” Cercai di dirgli veloce.
    “Vieni.” Mi disse e lo seguii in salotto.
    Ci accomodammo nel suo divano rosso Ferrari e fu lui a rompere il silenzio.
    “Che succede? Ti vedo strano... stamattina eri più allegro.” Era preoccupato.
    “Lei è fidanzata.” Dissi tutto d’un fiato scrollando le spalle.
    “E perché non dovrebbe esserlo? E’ una bella ragazza dopotutto!” cercò di alleggerire il discorso.
    “Allora perché mi ha fatto una promessa che non può mantenere. Sarò anche paranoico, ma lei voleva burlarsi di me per ridere in compagnia, ne sono quasi sicuro!” Esclamai, non rendendomi conto di quanto fossi davvero penoso.
    “Luce, sei patetico sai! Invece di parlare con me, dovresti parlare con lei. Da lei le risposte, non da me! Hai fatto un errore di valutazione.” Mi disse tranquillo.
    “Non voglio parlare con lei.” Scossi la testa.
    “Tu mi farai perdere la pazienza un giorno di questi, sai? Diamine! Nemmeno un bambino si comporterebbe così! Se vuoi le risposte devi parlare con lei.” Si spazientii.
    “Non è tutto comunque...” dissi cercando di mantenere la calma.
    “Tuo padre?” cercò di indovinare lui.
    Scossi la testa. “Jason...” le parole mi morirono in bocca e le lacrime iniziarono a rigare il mio volto. “Io non credo di farcela se lei, l’unico motivo per cui il mio cuore ancora batte, negherà la sua vita insieme a me... c’è un pensiero che sta prendendo sempre più piede in me...” fui sincero.
    “Qualunque sia quel pensiero toglilo subito dalla tua mente!” si infuriò captando quel pensiero.
    Scossi nuovamente la testa. Gli occhi appannati dalle lacrime. “Non ce la faccio più!” dissi solamente; usai le mani per coprirmi il viso e poi caddi nello sconforto più totale.
    Zio Jason venne in mio aiuto, mi abbracciò forte e poi guardandomi dritto negli occhi mi disse: “Luce! Mi fa male vederti così! Devi dirmi cosa ti fa star così... Blaze, la tua famiglia sembrano, allora, solo scuse. Dentro di te c’è qualcosa che non riesco a comprendere; vorrei capirti, davvero, ma tu ti stai chiudendo sempre più in te stesso... mi fai paura.”
    Per tutta risposta mi aggrappai a lui con tutte le mie forze. Non riuscivo a dirgli cosa c’era che non andava. Tutto non andava, era questo il problema. La mia vita era tutto uno sbaglio e io non reggevo più.

    Al solito, consigli ben accetti! ^_^
     
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